È partita dal Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e delle Libertà , situato in corso Valdocco, la passeggiata condotta da Francesca Druetti questa mattina per gli acciottolati della città di Torino, gli stessi che venivano percorsi da ottant’anni fa da Adua Nunes, Giuseppe Girotti, Ferdinando Bagatin, Benvenuto, Enrico e Mario Colombo.
Torino era la loro città, la loro casa, da cui però furono strappati via.

Furono tutti arrestati tra il 1943 e il 1944, in un clima fascista che non risparmiava oppositori di ogni genere: le discriminazioni per colore, razza, fede e opinioni politiche uccisero non solo loro, ma migliaia di persone in città, ognuna con un nome, un cognome, una storia, un indirizzo, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare.

Proprio questo è lo scopo delle “Pietre di inciampo”, monumenti ideati e realizzati dall’artista tedesco Gunter Demnig, che consistono in piccole targhe di ottone che vengono incastonate nel selciato davanti all’ultima abitazione della vittima, richieste dai famigliari, dagli amici o dalle associazioni che si occupano di ricordare le vittime della deportazione nazista e fascista, perché non rimangano numeri o semplice te astratti ricordi. Sono circa 50.000 le pietre posate in tutta Europa, di cui numerose anche in Italia e a Torino, grazie al sostegno del Museo Diffuso.

Proprio qui, prima della scoperta in tre tappe di alcune delle 85 pietre presenti in città, e delle vite delle vittime a cui sono dedicate , Alessandro Bollo (direttore Fondazione Polo del ‘900), Guido Vaglio (direttore del Museo Diffuso della Resistenza) e Giorgio Levi (giornalista de La Stampa e richiedente di due Pietre posate nel gennaio 2017), hanno presentato il personaggio è il libro di Max Mannheimer, autore di “Una speranza ostinata” e testimone della Shoah, mancato il 24 settembre 2016, a cui era dedicato l’incontro.

Rivivendo così un intreccio di storie che Torino ha ospitato, e continua ad ospitare con piccoli e nascosti monumenti tra i ciottoli delle vie della città, l’intento e l’obbiettivo che dovremmo prendere a cuore è condiviso: non dimenticare.

Chiara Sanvincenti

Liceo classico Alfieri