Joseph Rosenberg, temuto più della malattia e della morte dai suoi dipendenti, considerato intrattabile e taciturno, aveva ormai da molti anni deciso che i suoi empori dovessero essere il luogo in cui le imperfezioni del vivere si annullavano per dar vita a un mondo patinato e perfetto, dal quale la malattia e la morte erano estromesse, insieme alla povertà e alla disgrazia. Per perseguire questo idillio, aveva dettato regole rigidissime e assunto il colonnello Zimmermann come suo fedele mastino, in grado di farle rispettare a ogni costo.

[…] Quando il colonnello passava in rassegna con occhio implacabile i cinquanta dipendenti dell’emporio, tutto doveva essere perfetto. Nell’ultimo mese aveva fatto piangere quindici commesse e cinque cassiere e licenziato in tronco il vecchio John, l’italiano, per via della forfora che oltraggiava irrimediabilmente la sua uniforme blu notte da guardiano.

 

«Come troverò un altro lavoro alla mia età? Ho quasi sessant’anni, non è colpa mia se ho la forfora! Ho una moglie e un figlio di dodici anni!» aveva protestato il pover’uomo. Ma Zimmermann l’aveva squadrato dall’alto in basso e aveva concluso cinicamente che non era nemmeno colpa sua: l’imperfezione doveva essere bandita dagli empori Rosenberg, il resto non lo riguardava.

 

La doppia vita del signor Rosenberg, di Fabrizio Silei, Salani, p. 16