L’uomo si girò.

Aveva la faccia cotta dal sole resa ancora più rossa dai numerosi bicchierini che doveva essersi concesso.

Era molto arrabbiato.

«Ehi, negro!» gridò. «Tu, negro! Come ti permetti, negro!»

Anche la voce dell’uomo era grande e grossa.

[…] «Dico a te, negro schifoso. Come ti permetti? Chi è il tuo padrone?»

La conoscevano bene quella voce.

E anche quella faccia cotta dal sole.

Era Jim Kniff con gli stivali della festa.

[…] E quel negro gli era arrivato addosso.

Mica poteva sopportare una cosa del genere. Ai negri se gliene fai passare una liscia poi se ne approfittano.

Questo si era messo a piagnucolare, naturalmente.

«Perdono, padrone, perdono!»

Fanno sempre così, tutti falsi, i negri.

E anche la ragazza che era con lui, la moglie, o quel che era, lo supplicava a mani giunte.

La ragazza, già.

Per Jim Kniff gli schiavi erano tutti uguali.

Musineri, appunto.

Impossibile distinguerli l’uno dall’altro, lui non ci riusciva. Sapeva riconoscere un cavallo solo dal nitrito. Sapeva distinguere una vacca nella mandria dalla piega di un orecchio.

Ma i negri no. Erano animali tutti uguali.

 

Oh, freedom!, di Francesco D’Adamo, Giunti, p. 124-125