L’importante, all’interno di un evento culturale di spessore, è che ci sia lo spazio per il pubblico di apprendere interagendo e dialogando con il relatore sopra i temi discussi in ogni incontro. è in questo senso che, per me, quello con Paolo Ferri ed in particolare con Stefano Moriggi è stata un’occasione di vero “incontro”. Sono poche le persone che, come Moriggi al termine della conferenza, concedano il loro prezioso tempo di luminari a discutere con un “giovane”. È un gesto che ho molto apprezzato.
Il lettore mi perdoni questa breve introduzione personale ed emotiva. Vengo subito all’oggetto dell’incontro svoltosi nel pomeriggio di ieri , giovedì 17 Settembre, durante il festival del libro “Pordenonelegge”. La discussione che ha preso piede all’interno del palazzo della provincia di Pordenone era incentrata sull’evolversi dell’educazione delle presenti e future generazioni, in relazione allo sviluppo ed utilizzo delle nuove tecnologie digitali, sia in ambito domestico che scolastico. Motivo d’essere dell’incontro era infatti la presentazione da parte di Moriggi, celebre epistemologo, dell’ultimo libro del professore universitario milanese Paolo Ferri, “I Nuovi Bambini”, sullo stesso tema. Il libro di Paolo Ferri è il precipitato di tutte quelle ricerche che da anni svolge nell’ambito dei media e del loro effetto sul sociale. L’evento era dunque “virtualmente” rivolto a genitori ed insegnanti, entrambi ritenuti i principali protagonisti dello sviluppo dei ragazzi in tutte le sue sfaccettature: compreso il rapporto con le tecnologie. Non si tratta , dunque, solo di informazione dice Moriggi, ma di vera e propria formazione degli adulti come guide responsabili per i bambini nel complesso mondo della rete.
La prima cosa da cui entrambi gli studiosi vogliono metterci in guardia è il classico quesito: esistono i nativi digitali?. Dal loro punto di vista è una domanda che devia da una reale ed incisiva indagine sul sociale, limitandosi ad una superficiale ed inutile valutazione stereotipata. Addentrandosi nel ragionamento ci illustrano come ogni generazione umana sia distinguibile e diversificabile dalla precedente proprio in nome dello sviluppo tecnologico intercorso tra le due. Ciò esclude di fatto la possibilità di stabilire una completa e definitiva concezione di essere umano come qualcosa di puro e, soprattutto, immutabile. “Siamo le continue creazioni e ricreazioni delle nostre stesse invenzioni” ha affermato il filosofo citando Derrik de Kerchove. La ricerca dell’essere umano naturale e originale è, quindi, seguendo quest’ottica, qualcosa di totalmente inutile per non dire controproducente. Ferri e Moriggi sono fermamente convinti che ci si debba interrogare non tanto sulle questione: “Stiamo cambiando?. Siamo diversi?. Meglio o peggio?”. Piuttosto bisognerebbe focalizzarsi sul come evolviamo assieme alle macchine e agli strumenti che creiamo, poiché è certo che cambiamo ed è certo che diventiamo man mano differenti a seconda di come si modificano le realtà sociali, economiche, politiche e tecnologiche in cui viviamo.
Bisogna riconoscere però che solo una persona “adulta”, o quantomeno già parzialmente sviluppata e maturata, ha acquisito le capacità necessarie a discernere un’utilizzo fruttuoso ed utile delle tecnologie da un abuso nefasto delle stesse. È qui che entrano in gioco i genitori e gli insegnanti, espone Paolo Ferri, proprio nel ruolo di “vigili attenti”, nei confronti di un possibile uso sconsiderato dei ragazzi di strumenti così potenti. Il genitore e l’insegnate dovrebbero seguire il più possibile il figlio, o lo studente, per aiutarlo ad utilizzare correttamente dispositivi ed a sviluppare competenze quali:
-Una maggiore interconnettività e socialità tra individui, con un conseguente aumento dello scambio positivo di informazioni e nozioni.
-Una maggiore plasticità ed adattabilità mentali.
Secondo il ricercatore milanese, infatti, seguito a pari passo da Moriggi nel suo libro dal titolo “Connessi” (che consiglio), la tecnologia digitale incarnerebbe quell’ideale strumento che, dopo secoli, consentirebbe il superamento e l’abolizione di quello che, a loro detta, sarebbe l'”orribile” ed ormai obsoleto sistema della lezione scolastica frontale. Pare questo il “mostro” dal quale entrambi vogliano fuggire: quello impostato sulla rigida ripartizione dei compiti tra l’insegnante, che spiega seguendo il testo scritto, ed i ragazzi che ascoltano. Dal mio punto di vista, questo timore può emergere da una visione incompleta e scorretta della situazione scolastica italiana attuale. Ricordo , infatti, che all’interno della nostra scuola non vi è solo la lezione frontale come metodo didattico, ma esistono già oggi progetti che, senza prevedere l’uso del digitale, mirano ad aumentare la collaboratività tra gli studenti come i lavori di gruppo: nei quali l’insegnante ha, ad esempio, il solo ruolo di supervisore. Oltretutto negli ultimi anni la scuola italiana, anche a detta degli insegnanti, sembrerebbe aver già fatto grandi passi in avanti proprio verso una tecnologizzazione degli istituti. Ci si deve chiedere, dunque, se la tecnologia debba avanzare sino a sostituire parzialmente o totalmente l’insegnante il quale, se ben formato e competente, ha già in se le capacità necessarie a stimolare l’interesse dello studente. Pertanto questo tentativo di forzare l’introduzione del digitale nella scuola italiana, sembrerebbe più un tentativo di emulazione di realtà scolastiche straniere (Es: nordamericana), che una reale ricerca di miglioramento del sistema didattico (per altro già considerato, nello stato presente, come uno dei migliori al mondo) coerente con la realtà del tessuto sociale e culturale italiano. C’è il rischio, inoltre, di sprecare tempo ed energie (per non parlare del denaro) in una rivoluzione di cui forse non ve n’è reale bisogno, continuando ad ignorare le più pressanti e concrete esigenze della nostra istruzione. A questo si aggiunge il fatto che non è mai stata dimostrata la maggior efficacia o superiorità di un’educazione didattica digitalizzata, così come non è stata ancora verificata questa “presupposta” mancanza di attrattiva e funzionalità del modello tradizionale. Non sappiamo, tra l’altro, a quali rischi andiamo in contro aumentando la dipendenza del ragazzo e dell’uomo in generale dalle macchine e dalla “realtà” virtuale.
Sono convinto del fatto che sia indispensabile che il genitore e l’insegnante debbano aiutare le nuove generazioni ad approcciarsi correttamente all’uso del digitale. Forse, però, sarebbe ancora più responsabile da parte loro insegnare ai propri figli, così come ai propri studenti, che esistono anche delle alternative al mezzo digitale per imparare ma, soprattutto, per socializzare e divertirsi come giocare a pallone o incontrarsi in piazza, libere attività che paiono scomparse. Chissà che anche in quei contesti non si sviluppi qualche competenza?
Lorenzo Modena – Liceo Michelangelo Grigoletti Pordenone 5^E
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