Mauro Covacich non ha pace con le persone e non riesce a lasciarsi scivolare addosso nemmeno le situazioni più ordinarie: lo attraversano e lo investono, diventando per lui una sorta di ossessione. Per questo- egli afferma -ha iniziato a scrivere.

Un ora con Mauro Covacich - Foto Francesco Cicolella-3

“Ci sono momenti”, dice, “in cui potrei non crearmi problemi, tanto possono sembrare irrilevanti. Eppure me li creo”. Probabilmente è tutto ciò che lo porta ad essere uno degli scrittori più radicali e, in un certo verso, oltranzisti, su tutto il panorama letterario italiano. La più recente espressione di questa sua particolare visione della scrittura è stata presentata oggi, al Caffé Letterario; in un’ora, Covacich, insieme a Valeria Parrella e Marino Sinibaldi, ha esposto e commentato il suo nuovo libro, La sposa.

 

Diciassette racconti in pieno “stile Covacich” sono contenuti in questo romanzo. Diciassette racconti frutto di un lavoro di invenzione impropriamente chiamato tale: per quanto fuori dall’ordinario, ogni storia è perfettamente plausibile.
Molti di essi sono fatti di cronaca o avvenimenti conosciuti dai più, ma l’autore osa. Non si limita a raccontare ciò che è già impresso a fuoco nel passato, ma il suo “Io” si incapsula nelle situazioni e le tende al massimo, fino al labile confine tra possibile e impossibile. Non si concentra sul dato reale, il vero protagonista dei suoi diciassette racconti è l’eventuale, l’ipotetico. Arriva quasi a sfiorare l’astratto, ma ogni volta rimane fermamente ancorato al presente.

 

Un ora con Mauro Covacich - Foto Anna Mullaaliu-9

“Usa la letteratura come un simulatore di volo rispetto alla realtà”, commenta Sinibaldi, riprendendo la caratteristica fondamentale del suo operato: non l’invenzione, bensì la simulazione. Ogni racconto di questo libro è una performance antropologica, in quanto cerca di astrarre tutta l’ordinarietà da una situazione, e letteraria, poiché deve creare una scrittura all’altezza di essa. L’immedesimazione avviene non avviene sul piano emotivo, quanto piuttosto su quello conoscitivo. La nostra mente riconosce in essi le fitte trame della cronaca nostrana, passata o recente, ma queste vengono brutalmente scombinate quando Covacich decide di mutare il punto di vista o di concentrarsi sulla possibilità scaturita dalla sua creazione.
A dispetto delle apparenze, però, la sua sfida principale è quella di farci tornare alla realtà.

 

Tutti i racconti hanno un filo conduttore, tutti portano a un nucleo che però è assente. Tutto ciò che viene trattato narra di vite e di situazioni interrotte bruscamente, come la tragica storia di Pippa Bacca (la “sposa”).

Mario Covacich nello scrivere si è sottoposto a una performance; essa viene riproposta a noi dal momento in cui apriamo il suo romanzo.

 

Irene Cancellara #RedazioneAlfieri