Una guerra dalla quale ci giunge più propaganda che informazione: la situazione dell’Iraq. Ritenuta la più grande da dopo la Seconda Guerra Mondiale, questa battaglia ha lasciato solo polvere di quella che era la città di Mosul. Nonostante nei primi giorni di luglio 2017 il premier Abadi abbia dichiarato il conflitto terminato e la città liberata dal califfato, la popolazione è ancora profondamente divisa e nel mezzo di una “strisciante” guerra civile. Infatti i civili rimasti intrappolati a lungo nella città e le famiglie dei militanti dell’Isis non vengono distinti dai combattenti stessi nell’opinione degli altri iracheni.

Di questo hanno discusso Gaith Abdul-Ahad, The Guardian, Caroline Abu-Sada, Medici senza frontiere, e la giornalista Francesca Mannocchi, inviata di guerra a Mosul, nell’incontro moderato da Tonia Mastrobuoni.

Anche se le cifre esatte delle vittime della guerra sono volontariamente occultate, gli operatori di associazioni umanitarie se ne sono fatti un’idea molto rapidamente, attraverso il grande numero di persone bisognose di soccorso, la maggior parte delle quali donne e bambini. C’è necessità di qualsiasi tipo di aiuto, da servizi di riabilitazione fisica e psicologica a centri per la malnutrizione e maternità. Durante il lungo periodo di devastazione gli ospedali erano presi di mira da entrambe le parti proprio per il loro aiuto incondizionato, messo a disposizione di tutti a prescindere dal ruolo nel conflitto.

Come in Occidente si tende a considerare lecita ogni violenza contro il califfato, al fine di sconfiggerlo, allo stesso modo gli iracheni giustificano ogni atrocità nei confronti delle famiglie dell’Isis, in quanto tali giudicate come disumane ed irrecuperabili. La frattura fra le vittime e le “famiglie dei carnefici” è ulteriormente approfondita dalla sistemazione che essi hanno nei campi profughi, nei quali sono separati. Questa è la causa di una nuova  radicalizzazione che preclude alle persone ogni possibilità di rieducazione e riscatto. Secondo gli esperti una condizione necessaria per lo sradicamento di ideologie estremiste è la modifica della visione occidentale della situazione, che spinge a banalizzare la questione.

Esther Dall’Olio, Liceo Ludovico  Ariosto di Ferrara

Beatrice Diana, Liceo classico Vittorio Alfieri di Torino