“Se Dio avesse voluto fare di voi un unico popolo lo avrebbe fatto”: questo recita un versetto del Corano.
Ed è strano ascoltarlo ora, alle soglie di una grande crociata islamica con lo scopo di annientare un mondo senza il “non musulmano”.
La scrittrice di origine armena Antonia Arslan, il sociologo e politico algerino Khaled Fouad Allam e il giornalista italiano Matteo Spicuglia si sono trovati a condurre un incontro incentrato sull’Isis e su un “suicidio culturale” in un ambiente particolare, considerato l’argomento: una chiesa.
È stata una lezione di cultura, non solo, ma anche di storia.
Storia perché, come hanno spiegato ad un pubblico numerosissimo, non c’è nulla di nuovo in questo caos che sta sconvolgendo il mondo. È già successo tutto in passato.
Questa debolezza politica di un’Europa che non è in grado di fare progetti per il domani era quella dell’Impero Romano d’Occidente. Charlie Hebdo lo riconosciamo nell’uccisione, da parte dello stesso Maometto, di una poetessa ebrea in disaccordo con il nascente Islam e neanche la ritualità dell’Isis con le decapitazioni giornaliere è una “novità”: infatti già cent’anni fa eleganti soldati in uniforme esibivano in foto teste mozzate di Armeni.
Ed è stata una lezione di cultura, perché bisogna comprendere ciò che è il vero Islam e che cosa non lo è.
Islam significa “sottomissione”: e proprio con la violenza e la sottomissione è stato talvolta imposto in passato, così come torna a esserlo oggi da parte dell’Isis, in un tentativo di omogeneizzare la cultura di un’intera porzione di mondo, sradicando ogni possibile traccia di Occidente. Non è corretto rimarcare che il terrorismo non ha niente a che fare con l’Islam: è il concetto stesso di “sottomissione” che può contenere il seme della violenza, che le frange estremiste e violente interpretano nel modo che più conviene loro. Già lo stesso Maometto d’altronde aveva convertito con la forza parte della Penisola Araba.
Si parla anche di jairia, “ignoranza”, dopo il “massacro di cultura” perpetrato a Ninive. Nel Corano si indica con jairia il periodo preislamico: ora l’Isis identifica con questo termine tutto ciò che non riguarda il mondo musulmano, come a indicare che ormai l’Islam è un tempo assoluto, e non c’è altro tempo al di fuori di esso.
E indovinate contro quale cultura questo califfato nascente si è prefisso di combattere? L’Occidente e il Cristianesimo.
Ci sono già stati in passato impulsi di espansionismo islamico, e l’Europa ha sempre retto: ma ora?
La nostra società è “perfetta”: mai nella Storia c’è stata una civiltà che rispetti i diritti umani, tuteli i più deboli e in cui ci sia la libertà di cui godiamo noi oggi. Eppure c’è un malessere diffuso che porta tanti giovani ad abbracciare la religione musulmana: perché? Perché Dio è più un prodotto culturale, piuttosto che una vera e propria fede dai confini definiti: e la nostra cultura si sta autodistruggendo. Questo è il suicidio a cui ci stiamo trovando di fronte: la nostra civiltà è sempre più debole, e la causa è la “anti-educazione”.
Nessuno sarebbe più disposto a morire per un ideale: e a questo punto esistono forse ragioni per vivere?
Viviamo nel Regno della Precarietà, essa coinvolge ogni ambito della realtà.
C’è un divorzio fra politica e cultura, l’Europa non sa cosa vuol fare, si vive giorno per giorno: è cambiata la stessa prospettiva del tempo.
E l’Isis è figlio proprio di tutto questo.
Sara De Mola, Liceo Galileo Ferraris e Sara Tavella, Liceo Copernico
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