Nel treno per Alessandria leggo gli ultimi dati sulla lettura: un quadro sconfortante, il paese legge poco e male, il paese si disinteressa alla lettura o comunque non ha gli strumenti per affrontare un testo anche minimamente complesso.

Entro in classe, con poche pagine fotocopiate in fretta, incipit di romanzi che mi hanno appassionato quando avevo quindici o sedici anni, autori che non ho mai smesso di leggere. Facciamo un esperimento: le leggiamo insieme, senza pensare al contesto o alla biografia degli autori, solo per vedere se ci piacciono.

Iniziamo con Soffocare di Palahniuk e poi Stand by me, mettiamo a confronto William Finnegan e Simone Marcuzzi. Cerchiamo di capire perché un giro di frase ci fa un bel effetto o un paragrafo ci annoia. Le osservazioni dei ragazzi – tutti, perché a prendere la parola sono proprio tutti – sui personaggi, la trama, la voce narrante, sono di gran lunga più interessanti di qualsiasi recensione letteraria abbia letto negli ultimi tempi. Pur avendo solo qualche pagina a disposizione, riescono a intuire sviluppi romanzeschi esatti, a fare critiche puntuali, mescolando con disinvoltura conoscenze scolastiche e impressioni istintive così sottili da rendere superfluo qualsiasi mio commento.

Parliamo di chi è lo scrittore nella vita reale, come vive, cosa fa. Quanto guadagna uno scrittore? Come si pubblica un romanzo? Perché i romanzi stranieri a volte ci sembrano più belli? Perché invece preferiamo gli italiani?

Esco stupefatta dall’aula, le loro risposte mi lasciano un buon umore che non saprei spiegare. Sul treno di ritorno a Milano mi chiedo come si faccia a conservare intatta questa sensibilità un po’ anarchica che permette di credere sempre alle storie ben raccontate, di svelare i trucchi di quelle costruite con furbizie da quattro soldi, di rimanere lettori curiosi. Mai come nelle ore passate con i ragazzi della 2AL mi sono parse evidenti le parole di Gianni Rodari sull’importanza delle storie e della fantasia, “non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”.

Federica Manzon