“Non puoi continuare a sovravvivere, finirai sul lastrico”

Sovravvivere. Così si apre il primo incontro del mio gruppo di lavoro, di cui fanno parte Daniele e Alberto come tutor e Denise, Luca, Angelica e Beatrice. Appuntamento alla biblioteca centrale di Torino per discutere assieme degli spaccati d’Italia assegnati al gruppo, da definire, plasmare, discutere insieme. La prima parola è sovravvivere. La definizione chiarisce che è la tendenza a vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche e sociali. In un periodo come quello in cui stiamo vivendo, in cui la frase: “C’è crisi e i ristoranti sono sempre pieni” è all’ordine del giorno, non mancano certo gli argomenti di discussione.  “Non puoi continuare a sovravvivere, finirai sul lastrico”. Una frase che il gruppo associa alla parola e che esprime bene la minaccia che imcombe su chi sovravvive, sulla persona che continua la propria vita come se i conti bancari non potranno mai andare veramente in rosso e il conto del ristorante non potrà mai sembrare così salato. Si passa alla seconda parola, non meno ricca di spunti di riflessione: subizionista.

 Vittimisti 2.0

Un concetto di moda quello del subizionismo, una parola che non aveva ancora un nome, ma che in fondo tutti abbiamo espresso nella nostra mente leggendo i fatti di cronaca e di politica sui giornali. Il subizionista è colui che enfatizza i proprio problemi per attirare su di sé l’attenzione e la compassione altrui. Un aggettivo che calza a pennello per molte persone che incontriamo nella vita di ogni giorno (compagni di scuola, colleghi di lavoro), ma che può essere indossata alla perfezione anche da personaggi venuti alla ribalta per fatti di cronaca e vicende politiche (il riferimento a chi, nella politica, ha fatto uso delle sue doti da subizionista per oscurare miriadi di vicende che lo avrebbero messo in cattiva luce, è quasi scontato…). “Smettila di fare il subizionista! Tutti abbiamo i nostri problemi!” è la seconda frase che il gruppo ha coniato per un possibile uso della parola.

Troppi legami, paura dei legami

Si passa tra una riflessione e l’altra a linkotico, la terza parola affidata al gruppo. Colui che ha paura di istaurate rapporti affettivi o contrattuali che creino dipendenza sociale ed economica, questa la definizione dell’aggettivo. Nell’era dei social network, l’era dei link e della paura di rimanere soli, ma come anche di non poter difendere la propria privacy, il mondo si riempie sempre più di linkotici. Forse grazie alla precarietà e alla freddezza a cui ci hanno abituato le relazioni moderne, che passano sempre più attraverso la tecnologia, la paura di rimanere soli è stata presto sostituita da quella di rimanere intrappolati in rapporti d’ amicizia, d’amore, di lavoro, troppo seri e impegnativi. Le emozioni passano attraverso le fibre ottiche, le parole si scrivono sulle tastiere e le lacrime versate sulle lettere d’amore sono ormai un lontano ricordo. La riflessione e il quadro che grida questa parola, è di una società che ha sempre più paura dei sentimenti veri, travolgenti e che legano, come anche degli accordi che, una volta firmati, sono in grado di cambiare la vita.

La definizione di “onnifood”

A pomeriggio inoltrato, dopo qualche ora di lavoro, si arriva all’ultima parola assegnata al gruppo: onnifood. Il cibo è ovunque, fa parte della nostra quotidianità e delle nostre vite. Concetto banale, potrebbe essere la prima impressione, ma questa ossessione per la cucina e per tutto ciò che le ruota intorno potrebbe invece nascondere un quadro sociale ancora poco studiato e molto complesso. Onnifood è il fenomeno prettamente mediatico che consiste nell’eccessiva diffusione di tutto ciò che concerne l’ambito culinario. Questa diffusione capillare, secondo il gruppo, è chiaramente visibile anche in ambito editoriale: non c’è biblioteca o libreria che non abbia una fornitissima e ben visibile sezione di cucina. Libri colorati, personaggi famosi diventati chef da un giorno all’altro, questo è il quadro offerto dal fenomeno. Non c’è ora del giorno in cui, facendo zapping tra i canali televisivi, non ci si imbatta in qualche pentola fumante manovrata sapientemente dall’ultimo chef adorato e acclamato dalla folle, come un profeta della grande arte della cucina. La sfida è aperta con questa parola e non sarà certo facile provare a dare una risposta alle origini e al perché di questo neo-nato fenomeno.

L’incontro si chiude e il gruppo, in mano le definizioni delle parole, dovrà ora provare a formulare delle domande e delle riflessioni in vista dell’incontro con gli autori al Salone.

di Federica Maggiora, scuola I. C. Giulio