Serve Mario Brunello, noto violoncellista e grande interprete, a ricordarci con il suo ultimo saggio, sul Silenzio, che l’assenza del suono non è aliena alla musica, ma che ne è paradossalmente la spina dorsale.
Sostiene Brunello che il mancato insegnamento del silenzio, elemento generalmente tralasciato in ogni contesto di educazione musicale, lascia nel musicista una falla gravissima nella preparazione non solo tecnica, ma anche umana. E’ per questo che nella sua ultima pubblicazione l’artista veneto, nel riscoprire questa arte minore -la capacità di gestire i tempi vuoti- “compone” quattro movimenti riprendendo la tipica struttura della sonata. Ciò che ne risulta è una perfetta armonizzazione delle tante funzioni che i sommi capi della storia musicale hanno attribuito al silenzio, il tutto varato dall’occhio critico di un grande dei giorni nostri: da Bach a Beethoven, passando per Mozart, il silenzio passa dall’avere un mero ruolo meccanico ad essere un vero proprio tramite per immergersi nella dimensione catartica di ciascun compositore.
D’altra parte Brunello vanta numerosissime esperienze empiriche per sostenere quanto scrive riguardo all’importanza del silenzio. In più occasioni ha avuto l’occasione di suonare in luoghi remoti e quasi inaccessibili -e.g. le cime delle Dolomiti o il deserto del Sahara-, dove l’esibizione sarebbe risultata di livello incredibilmente superiore a quelle di contesti ordinari: “Nel deserto sentivo il mio cuore non come lo si stente col petto -racconta l’artista- ma con le orecchie”. Questo a dimostrazione del fatto che la pausa è l’innesco delle emozioni che la musica ci trasmette, quasi come un’ottava nota, fondamentale per un’arte che in sua assenza non potrebbe esistere.
E così ci accorgiamo di essere tornati all’ormai risolto paradosso iniziale, che vede un Silenzio, forte di una nuova interpretazione musicale, tanto importante quanto il suono. Un giudizio visionario e anticonvenzionale che sarebbe certamente piaciuto a John Cage e ai suoni 4 minuti e 33 secondi di silenzio, i cui tre tempi che sconvolsero nel 1952 il pubblico americano: Tacet, Tacet, Tacet.
Giovanni Sette, Piervittorio Milizia
Liceo Ariosto
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