Tra le novità in programma per festeggiare i 10 anni, anche lo spettacolo teatrale: Donne che cucinano la vita. Liberamente tratto dai racconti del Concorso Lingua Madre. Di seguito trovate la presentazione e le interviste a Laura Malaterra, regista, Marta Laneri, una delle protagoniste, Domenico Castaldo, curatore dei “canti e movimenti”, Ginevra Giacchetti e Francesca Netto, attrici.
Con: Ginevra Giachetti, Marta Laneri, Francesca Netto LabPerm di Castaldo, riduzione teatrale e regia Laura Malaterra, canti e movimenti Domenico Castaldo.
In scena desideri, relazione, ascolto, cibo, ma soprattutto speranza, felicità e amore. Un insieme di episodi, canti e balli che dimostrano come costruire sia sempre possibile, che il terreno, anche se sconosciuto, può essere addomesticato e rifiorire, portando con sé la meraviglia di profumi sempre diversi. Senza negare gli elementi drammatici dell’immigrazione, infatti, lo spettacolo presenta gli aspetti più emotivi, teneri e anche divertenti delle storie di donne straniere. Le attrici danno vita ad una vicenda che lega grandi e piccoli episodi di antiche memorie a una esistenza tutta da scoprire. Tra profumi, ricette, tradizioni, cibi attraversati dalla cura e dall’amore delle protagoniste e di tutte le donne.
Lo spettacolo sarà in programma SALONE OFF 2015 Domenica 17 Maggio – Ore 19.00- Teatro di San Pietro in Vincoli – Torino. La performance sarà preceduta da un “apericena”, allestito nel suggestivo chiostro di San Pietro in Vincoli, per ricreare con il pubblico un momento reale di condivisione, gioia e convivialità.
Intervista a Laura Malaterra
Come è nata l’idea di una riduzione teatrale dei racconti del Concorso Lingua Madre legati al cibo?
Leggendo i racconti del Concorso Lingua Madre mi avevano colpito i tanti riferimenti al cibo, al cucinare, al gustare insieme le pietanze preparate, alle profumate ricette, saporite e variopinte, ricordate e proposte dalle innumerevoli donne del mondo che hanno partecipato in questi anni al Concorso. Sono momenti che sentiamo felici, di condivisione di ricordi del paese natio, memorie di un’infanzia che le donne osservano da lontano e quasi stupite – di fronte ai dolori e alle difficoltà affrontate e ancora da affrontare – e rivivono come lieta e spensierata. Le donne rammentano con languore una parte importante della loro vita: il ricordo di parenti, amici, abitudini, paesaggi, ricorrenze, feste… dove la preparazione del cibo diventava un rituale per sentirsi unite, fortificate dalle abitudini della famiglia. Abitudini e ricette che non hanno dimenticato e non dimenticano, che portano e porteranno in giro per il mondo, durante i loro pellegrinaggi alla ricerca di una vita più serena, per loro e i loro figli. E sempre, nel nuovo paese che le ospita, vanno cercando gli alimenti dell’infanzia per preparare la chifa, piatto peruviano a base di riso farcito con verdure e pollo o pesce, le sarmale piatto tipico rumeno, il ceviche ricetta dell’Ecuador a base di pesce… e tanti altri piatti… perché già solo vedere, sentire il profumo di quelle vivande e poi assaporarle le riavvicina alla vita e agli affetti di un tempo e ogni ricetta diviene un percorso meraviglioso nel passato.
Nello spettacolo “Donne che cucinano la vita”, dove già il titolo vuole presentare questi pensieri, ho voluto mettere in scena le donne che ricordano, parlano, cucinano i cibi che riscaldano sul fuoco lento della loro memoria.
Quale emozione o storia l’ha maggiormente colpita e perché?
Difficile scegliere tra tante storie coinvolgenti ma forse il racconto di Marie Louise Rasoamahafaly, Costruire in due mondi, Madagascar, è quello che maggiormente mi ha fatto entrare nella narrazione, quasi fosse un film. Marie Louise con il padre e i fratelli che al mattino presto, dopo una rapida rinfrescata al viso, si mettono la vanga in spalla e raggiungono il campo di mais, di patate dolci, di manioca, di arachidi o le risaie quando è stagione, il numero di hibotry – il mucchio di terra dove si piantano due rami di manioca – fissati dal padre e i fratelli che fanno la gara per finire prima… il ritorno a casa affamati, un ritorno che sento illuminato e riscaldato da un sole cocente, la mamma che – come tutte le mamme del mondo – li accoglie con una colazione succulenta per affrontare il viaggio per la scuola – il vary sosoa riso brodoso con pesce, carne o verdura “… avanzata apposta dalla cena del giorno prima…” chiudo gli occhi e mi pare di sentire il suo forte profumo – la cartella di pelle di zebù fatta dal padre di cui Marie Louise va giustamente molto fiera… Leggendo il racconto ho pensato a quando aiutavo mio padre a zappare nella vigna, al mio ritorno a casa affamata e rinfrancata dalle succulenze preparate dalla mamma, alla mi cartella di cuoio che lucidavo e che mi piaceva tanto… Quante similitudini, le stesse sensazioni di gioia, la felicità di giocare lavorando, la stessa beatitudine nel rivedere la mamma e sentirla sempre pronta ad amarci e a rifocillarci…
Lei ha anche scritto un libro sul tema del cibo – Ricordi di cibo, il cibo dei ricordi (Robin Edizioni) – appena uscito e che sarà presentato al Salone del Libro e a Expo Milano 2015. Ci può anticipare qualcosa sul contenuto?
Tanti sprazzi di vita – in famiglia, con gli amici, in osterie e ristoranti – legati al cibo. Dalle fragranze della cucina dove si preparavano i manicaretti che ora ricordo con infinita nostalgia… alle ricette dell’Artusi, il vademecum della buona cuoca! Perché naturalmente il tempo colora di magia l’infanzia ma anche le pietanze; è tutto un ribollire di sapori che credevo perduti e invece ho ritrovato scrivendo. E’ un libro che credo faccia venire l’acquolina in bocca e immerga il lettore in profumi appetitosi, con il sottofondo musicale dell’acqua che bolle e la frittura di acciughe argentate. L’ultimo racconto 154 tiehnerhaF, omaggio speculare al romanzo di fantascienza Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, presenta invece il futuro, un futuro proiettato nel 2126 dove sette semi donano alla protagonista del racconto una nuova speranza di vita… perché il cibo è e sarà una delle principali sfide del mondo contemporaneo e futuro.
Com’è stato lavorare con LabPerm di Castaldo? In che modo siete riusciti a intrecciare le reciproche competenze?
Il teatro unisce e rigenera gli animi. Non conta l’età. Contano l’entusiasmo, il desiderio di mettere in scena sensazioni e la vita stessa, l’ebbrezza di vivere uno spazio di tempo reale e irreale, dentro ma a volte anche fuori da questo mondo. Queste premesse per illustrare la mia coinvolgente esperienza con LabPerm dove, a mio parere, siamo riusciti a superare la differenza di età, di esperienze teatrali e di vita con l’unico obbiettivo – che io reputo felicemente riuscito ma sarà il pubblico a giudicare e… applaudire! – di mettere in scena il meglio della nostre “reciproche competenze”. La forza magnetica delle attrici “… l’uso del corpo come strumento” le sonorità e i movimenti in scena frutto di “Diciassette anni di lavoro ininterrotto alla scoperta degli impulsi fisici, grazie ad uno specifico allenamento e all’attività su differenti testi…” come scrive Castaldo che dirige il LabPerm, si sono unite alla mia lunga esperienza teatrale di attrice e regista e immediatamente, dopo la prima giornata di prove, è scoccata quella scintilla che a volte, ma raramente e per questo più preziosa, ti fa toccare il cielo con un dito.
Intervista a Marta Laneri
Lei è un’attrice italiana che in questo spettacolo interpreta donne straniere. La scelta è voluta, perché il Concorso Lingua Madre incoraggia proprio la collaborazione tra donne straniere e donne italiane, per creare relazione e scambio. Ma ha trovato difficoltà nel farsi voce di donna straniera?
Leggendo i racconti prima di interpretarli ho potuto notare come il significato di alcune azioni o modi di comportarsi cambi a seconda della cultura di appartenenza, ma poi alla fine si scopre che sono molte di più le similitudini che le differenze. L’approccio di lavoro e di scoperta non è stato verso la cultura rappresentata dal racconto, ma verso la donna, l’umanità rappresentata. Ogni persona ha piccoli rituali che ritiene importanti, sogni e desideri che le appartengono in quanto persona/donna e non in quanto straniera. È l’umanità e le relazioni che è un piacere mettere in scena, oltre l’appartenenza culturale.
Nel suo lavoro ha avuto altre esperienze legate ai temi della migrazione? E quali?
In un altro spettacolo fatto con la compagnia del LabPerm di Castaldo ho rappresentato una madre albanese ai tempi della guerra in Kosovo. Non si trattava in modo specifico di migrazione, ma veniva rappresentata e vissuta una realtà straniera verosimile e particolarmente vicina al nostro paese e alla nostra storia politica. Anche in questo caso il dolore su cui ho lavorato è umano, universale, e il fatto di essere albanese semplicemente aiuta ad inserire la storia in una cornice storico-culturale precisa, ma non lo differenzia o lo distanzia da una qualunque madre che non trova più i suoi figli.
Quale personaggia l’ha colpita di più in questo spettacolo tratto dai racconti del Concorso Lingua Madre e perché?
A pensarci bene non ho una protagonista preferita. Sono attratta dall’umanità di tutte le donne, sia dalle protagoniste, che dalle altre che accompagnano i racconti. Ci sono poi culture e usanze più lontane da me e meno conosciute, e forse lì è ancora più divertente andarle a scoprire…
Ci sono episodi del racconto teatrale in cui ha potuto riconoscersi o riconoscere momenti della sua vita personale? Quali?
Della mia vita personale riconosco soprattutto la complicità tra amiche, il piacere nel condividere le azioni di ogni giorno, come un caffè o preparare il pranzo, parlando, ridendo e condividendo ricordi ed emozioni.
Nel fare teatro, qual è per lei la specificità di essere donna? Quale il valore aggiunto che porta sul palco?
Forse più che valori aggiunti vedo valori diversi tra artisti di sesso maschile o femminile. Personalmente ritengo che le donne abbiano maggiormente il dono dell’ intuito e una particolare motilità tra tantissime piccole sfaccettature di sentimenti. Come se avessero un ventaglio di possibilità maggiore, ma bisogna sapersi aprire a questo, e saper lavorare sinceramente e profondamente sulla propria femminilità.
Che consiglio darebbe alle ragazze che hanno intenzione di intraprendere la carriera di attrice teatrale?
Consiglio loro di lavorare preventivamente su di sé, sui propri desideri e bisogni più profondi, e anche sui condizionamenti che si ricevono ogni giorno dalla società e dagli affetti vicini. Spesso si ha un forte bisogno di esprimersi e dar vita alle parti più nascoste di sé e il teatro, come tutte le arti è un mezzo per farlo. È però importante capire quello che è un piacere e un bisogno personale – e quindi ben vengano i tanti amatori del teatro – e quello che è un lavoro professionale, che prevede di saper comunicare verso l’esterno. Fare teatro professionalmente non può essere solo un piacere per il tempo libero, ma un lungo lavoro pratico e costante, proprio come quello di un falegname che lavora in bottega. Magari a tanti piacciono le sculture in legno, ma solo alcuni posso farle, mentre gli altri potranno gustarne il risultato guardandole, comprandole o seguendone i processi.
Intervista a Domenico Castaldo
LabPerm è una realtà del panorama artistico italiano che tende a fare del teatro un luogo necessario. In che modo questo si lega al tema della migrazione e – in particolare – la migrazione femminile che è il soggetto del Concorso letterario nazionale Lingua Madre?
Il LabPerm, sebbene abbia nella propria definizione un concetto di permanenza è, come tutte le realtà legate al teatro per vocazione nomade, con le radici nella cultura più che all’anagrafe. La cultura a cui fa riferimento è una cultura che risiede nel corpo e si trasmette oralmente; è nella lingua ed oltre, nella comunicazione tra esseri umani aldilà dei confini di… (un po’ come la nostra bistrattata Costituzione). Il LabPerm sebbene abbia una sede in Torino, ha viaggiato e continua a viaggiare oltre i confini nazionali ed è visitato da molti attrici ed attori che spendono periodi di studio conil suo team. L’animo femminile rappresenta per il nostro percorso di ricerca un bacino di paticolare interesse per le sue potenzialità. Le donne sono depositarie di qualità e capacità che spiccano sopratutto nei momenti stra-ordinari, hanno un legame strettissimo con l’intuito e con l’incoscio, sanno portare unione e senso pratico. Queste qualità che emergono dalle esperienze raccolte dal Concorso Lingua Madre sono un esempio di resistenza, di intelligenza ed un solido esempio.
La sede del LabPerm è nel quartiere di Porta Palazzo, dove si scambiano ogni giorno centinaia di culture e in ogni donna che si incontra si può credere che sia una delle scrittrici del Concorso Lingua Madre.
Lei insiste molto sulla necessità di verità nel teatro: “una verità più vera e vibratile di quella della vita quotidiana, una verità tangibile che sappia aprire porte dove il pensiero comune ha eretto muri”, come si legge nel vostro sito. “Donne che cucinano la vita” risponde a questa verità?
Sì, questa possibilità è insita anche nel percorso artistico ed umano che le attrici stanno facendo assieme alla regista, a me ed alla coordinatrice del progetto Daniela Finocchi. Penetrare, attraverso i racconti selezionati per la scena, all’interno della vita delle donne che hanno scritto permette una immediata forma di empatia, una imprescindibile sorellanza tra gli esseri, anche a distanza di kilometri. Ci sono parti di noi che possono indiscutibilmente sentire quando qualcuno opera per noi a distanza, sia nel bene che nel male. Nel caso di “Donne che cucinano la vita” è un bene meraviglioso che si ottiene: donne migranti che si sono rappresentate in un testo scritto prendono vita attraverso altre donne. L’atto in sé spalanca varchi dove ci sono trincee.
Lei nello spettacolo ha curato canti e movimenti. Quali sono state le sue scelte? Quale l’ispirazione seguita?
Come sempre nella mia esperienza artistica osservo e valuto le più efficaci possibilità per togliere resistenze e liberare energie, vitalità, nelle attrici.
Può spiegarci brevemente come nasce una collaborazione come quella tra lei e la regista Laura Malaterra? In che modo si intrecciano le reciproche competenze? Come si svolge il vostro lavoro?
Abbiamo lavorato con un bel rispetto reciproco, consci dei nostri rispettivi ruoli, ma in entrambi (il sottoscritto e Laura) ha primeggiato il desiderio di vedere le attrici (Francesca Netto, Marta Laneri, Ginevra Giachetti) diventare luminose nell’atto creativo, vedere le Donne che cucinano sapientemente incarnate…dunque il vero arbitro sono state loro attraverso la loro straordinaria dedizione e professionalità
Com’è nata la collaborazione con il Concorso letterario nazionale Lingua Madre?
Mah…apparentemente per un incontro casuale al Festival Leggendo Metropolitano di Cagliari, in realtà per una chiara armonia d’intenti e d’animo con Daniela Finocchi.
Che consiglio darebbe ai ragazzi e alle ragazze che volessero intraprendere una carriera nel mondo del teatro?
Di non farlo! (non mi vedete ma sto ridendo molto). (Ora scrivo seriamente) Il Teatro nelle sue istituzioni Stabili è privo di reale impatto sulla realtà, è un salottino borghese in cui si ripetono cliché culturali che tendono a perseverare nella terribile stagnazione culturale nella quale ci troviamo. Se i giovani riconoscono il teatro come sede di una disciplina, simile allo yoga o al karate, ma ancora più ampia perché, attraverso il corpo si arriva alle meravigliose evoluzioni dello spirito, allora si incamminino senza esitare su questa strada; pronti ad affrontare terribili rinunce, enormi sacrifici, in cui si perde tutto il superfluo e l’inutile per trovarsi innanzi a se stessi, capaci di leggere gli altri ed andare oltre. Questa è l’unica via in cui intendo il teatro e la sua bussola è l’Arte dell’Attore.
Intervista a Ginevra Giacchetti
Lei è un’attrice italiana che in questo spettacolo interpreta donne straniere. La scelta è voluta, perché il Concorso Lingua Madre incoraggia proprio la collaborazione tra donne straniere e donne italiane, per creare relazione e scambio. Ma ha trovato difficoltà nel farsi voce di donna straniera?Cosa vuol dire straniera? straniera rispetto a cosa o a chi?
Per il mio vissuto, si tratta di un essere umano che osserva la realtà da un altro punto di vista con strumenti altri, e che proprio in virtù di questa posizione particolare apre degli squarci su una realtà. Più che in termini di difficoltà porrei allora la questione in termini di responsabilità, perché è una grande responsabilità farsi portatori di un messaggio che, spesso con una semplicità disarmante, apre la porta su una realtà nuova.
Nel suo lavoro ha avuto altre esperienze legate ai temi della migrazione? E quali?
In passato abbiamo lavorato alla creazione di uno spettacolo che aveva come contesto la guerra in Kosovo. Uno dei temi collaterali riguardava la fuga di molti kosovari albanesi in seguito alla dichiarazione di guerra. Certo, si tratta di un caso di migrazione un po’ particolare dove le emozioni più forte ad emergere erano quelle di paura, ansia e confusione che credo possano essere restituite con l’immagine di colonne e colonne di macchine e persone che vengono vomitate da una città che si sta barricando in se stessa.
Qualche anno dopo abbiamo incontrato il tema della migrazione lavorando alla creazione di una struttura performativa per un teatro di Lecce che aveva come obiettivo il dialogo tra il tessuto urbano di un quartiere molto popolare con alcuni immigrati che vivono nello stesso quartiere.
In questo secondo caso il confronto diretto con persone che venivano da molto lontano ha messo in luce la possibilità e la ricerca di un dialogo.
In seguito ci è capitato di creare un evento all’interno del quale facevamo emergere i racconti degli extracomunitari.
Quale personaggio l’ha colpita di più in questo spettacolo tratto dai racconti del Concorso Lingua Madre e perché?
Più che i personaggi a colpirmi sono state le relazioni tra i personaggi e gli ambienti che evocavano e a cui erano legati.
Faccio un esempio. C’è il racconto di questa donna ucraina sulla tradizione del del caffè al suo paese e poi ci sono due donne, (due sue amiche?o semplicemente due passanti indaffarate che vengono fermate davanti ad un bar da un’avventrice molto espansiva?)le due donne, un po’ titubanti, sono invitate a sedersi, a prendere del tempo per se, a celebrare una cerimonia importante di comunione. Alla fine la donna ucraina legge i loro destini nei fondi delle tazzine, possono tornare alla loro vita di tutti i giorni.
Così all’interno di ogni storia l’aspetto che mi colpisce di più è come posso giocare la relazione tra i vari personaggi? Cosa posso scoprire da ogni relazione?
Che aspetto della realtà, che non avevo visto prima, posso vedere da questo nuovo posto che sto occupando?
Ci sono episodi del racconto teatrale in cui ha potuto riconoscersi o riconoscere momenti della sua vita personale? Quali?
Anche in questo caso credo che la risposta stia nel tipo di relazione che si cre tra i personaggi e l’ambiente che li contiene, perché nessuno di noi esiste di per se ma è sempre in relazione a qualcuno o a qualcosa ed è questo che crea il moto. Così in questi racconti ho potuto sperimentare le relazioni che esistono tra donna e donna all’interno di un luogo domestico, si tratta di un tipo di relazione che oggi, all’interno della nostra società occidentale, risulta un po’ viziato da molteplici fattori esterni. Così ho potuto si riconoscermi in alcune dinamiche quotidiane della mia vita personale e, al tempo stesso, ho potuto scoprire e muovermi all’interno di un modo di stare insieme e avere cura dell’altro molto distante da quello che vivo oggi, quello che forse aveva mia nonna con i suoi figli e le sue amiche.
Nel fare teatro, qual è per lei la specificità di essere donna? Quale il valore aggiunto che porta sul palco?
Non credo che il fatto di essere donna di per sé porti un valore aggiunto. Credo che in questo lavoro il valore aggiunto sia, ancora una volta, aprire varchi, mettere in luce aspetti sempre nuovi di uno stesso soggetto.
E poi basta pensare alla grande tradizione del teatro NO dove gli attori e le attrici erano pronti ad interpretare ruoli maschili e femminili, quasi annullando la specificità del loro genere al servizio di qualcosa di più alto, la creazione artistica.
In questo lavoro specifico, Donne che cucinano la vita , ho avuto la possibilità di confrontarmi con delle donne e delle situazioni che appartengono ad un sistema di valori in cui il ruolo della donna e quello dell’uomo sono nettamente chiari e definiti. Questo è qualcosa che nella nostra società attuale è totalmente assente, di conseguenza la relazione tra gli individui (o tra i personaggi della piece) è molto diversa. Ecco, credo che il valore aggiunto di essere donna, o meglio il valore aggiunto di ogni essere umano, sia avere chiaro la propria dimensione all’interno della società in cui vive, e credo che, come attrice sia questo il punto in ombra su cui vorrei puntare la mia piccola pila.
Che consiglio darebbe alle ragazze che hanno intenzione di intraprendere la carriera di attrice teatrale?
Le direi che è la via di conoscenza più creativa e stimolante che conosco, che è impervia e piena di ostacoli ma che – se è la sua strada – di armarsi di pazienza e lottare per percorrerla.
Intervista a Francesca Netto
Lei è un’attrice italiana che in questo spettacolo interpreta donne straniere. La scelta è voluta, perché il Concorso Lingua Madre incoraggia proprio la collaborazione tra donne straniere e donne italiane, per creare relazione e scambio. Ma ha trovato difficoltà nel farsi voce di donna straniera?
Assolutamente no, anzi è stato un piacere assoluto. Entrare in contatto con culture distanti e diverse dalla nostra è un’arrichimento sia a livello attoriale sia a livello umano. La sfida consiste proprio nel colmare questa distanza con l’interpretazione.
Nel suo lavoro ha avuto altre esperienze legate ai temi della migrazione? E quali?
No, non ho mai avuto esperienze tali. Questa è la prima volta! Ma è stato arricchente, commovente, entusiasmante!
Quale personaggio l’ha colpita di più in questo spettacolo tratto dai racconti del Concorso Lingua Madre e perché?
Mi ha colpito molto il racconto di una donna del Madagascar, una descrizione bellissima della sua terra, delle abitudini di quella gente umile e povera, un quadro perfetto di quei luoghi. Le parole scelte con cura diventano uno strumento perfetto per farmi viaggiare fin li.
Ci sono episodi del racconto teatrale in cui ha potuto riconoscersi o riconoscere momenti della sua vita personale? Quali?
In realtà lavorando come attrice tutto quello che ho interpretato sembrava assolutamente parte della mia vita personale. Nonostante questo alcuni episodi mi hanno toccato maggiormente, come quello in cui la mamma richiama Samira a casa. Un ricordo d’infanzia assolutamente simile, quando al mare non tornavo mai a casa dalla spiaggia, proprio come la mamma di Samira : “Samira, presto il sole sta già tramontando!”, cosi mia madre si spendeva a richiamarmi. Oppure l’episodio del caffè: quello di offrire ad amiche stanche un buon caffè per tirarsi su. Inoltre dopo aver interpretato tale episodio, questa mia abitudine di offrire caffè a chi mi viene a far visita è aumentata!
Nel fare teatro, qual è per lei la specificità di essere donna? Quale il valore aggiunto che porta sul palco?
Una grande sensibilità ed intuito, questi i valori aggiunti che una donna può portare sul palco.
Che consiglio darebbe alle ragazze che hanno intenzione di intraprendere la carriera di attrice teatrale?
Seguire un maestro, come è stato il mio caso: ho avuto la fortuna di incontrare in Domenico Castaldo un regista e un attore che è stato ed è esempio costante di creatività e professionalità. Per questo motivo, lavoro con lui da dodici anni. La possibilità di avere sempre davanti agli occhi un esempio di interpretazione vivente, nonché una persona che ti stimola costantemente a superare i tuoi limiti è una grande ricchezza.
Nessun commento
Non ci sono ancora commenti, ma tu potresti essere il primo a scriverne uno.