Tu sei pazzo, mica Van Gogh!” cantava Caparezza nel 2014. Il ritorno di fiamma del pittore fiammingo sulle scene sembra continuare oggi al Salone del Libro, quando durante l’intervista al giornalista argentino Camilo Sánchez è stata raccontata la sua travagliata esistenza.

Malgrado La vedova Van Gogh possa apparire come l’ennesima monografia riguardante il pittore, questa impressione viene ribaltata rendendosi conto che il focus narrativo è su sua cognata Johanna, ormai vedova. La donna, dopo il suicidio di Vincent, organizzò assieme al marito Theo la prima mostra ufficiale del grande pittore, il cui fallimento, dovuto alle poche opere esposte, portò anche il coniuge a togliersi la vita. La tragica situazione di Johanna, sola col figlio di appena un anno, la spinse a consolarsi con la lettura delle 300 lettere che si scambiarono negli anni i fratelli. Johanna trovò nel mirabile talento di scrittore di Vincent la rinnovata motivazione per ricominciare da capo a lanciare le dimenticate opere del cognato sul mercato artistico. Affiancando ad una nuova esibizione la pubblicazione delle lettere a Theo, la vedova fu in grado da una parte di concedere, seppur post mortem, la gloria imperitura al geniale artista e dall’altra di concedere a sé ed al suo bambino una vita dignitosa.

Emersa come una figura di spicco nell’ambiente culturale europeo, Johanna divenne anche un simbolo per le donne, proprio in quegli anni di lotta per il riconoscimento di quei diritti fino ad allora a loro negati. Impossibile non riconoscere in una persona di tale calibro un’incredibile forza d’animo, comune alle tantissime altre donne che, come Penny Guggenheim, hanno fatto dell’arte un mezzo di rivalsa sociale.

Viene spontaneo chiedersi quale ritratto del pittore possa delinearsi nelle parole di Johanna: la figura svelata non è quella di un folle, come solitamente traspare dall’opinione comune, bensì di un uomo tragicamente isolato nella sua condizione di psicotico. La disperazione di Vincent viene sottolineata persino nella spietata autocritica che questo faceva ai suoi stessi quadri, che finivano sempre per essere bocciati; esemplare quando lui stesso chiese alla cognata come trovasse le espressioni dei protagonisti de I mangiatori di patate. Ricevuta una risposta che riconosceva il suo talento, paradossalmente l’autore scoppiò in lacrime rivelando la sua personalità irrimediabilmente fragile.

Non è forse vero che a volte dove non arriva l’uomo giunge una donna, sempre dietro le quinte di quella scena che è il mondo?

Piervittorio Milizia, Giovanni Sette

Liceo Ludovico Ariosto, Ferrara