L’emergenza sanitaria, come è noto, non ha fermato la Scuola e neanche il Salone Internazionale del Libro di Torino, per cui, alcuni studenti e docenti dell’I.I.S. Cravetta di Savigliano (CN), nella mattinata di martedì 26 maggio, siamo riusciti ad incontrare lo scrittore da noi adottato, Antonio Moresco. Ci dividevano gli schermi dei computer, ma questi hanno funzionato proprio come la siepe e la rimembranza del canto leopardiane: l’umiltà dei gesti e dello sguardo dell’autore e l’ascolto di tante sagge parole ci hanno trasportato al di là della realtà della Didattica a Distanza, regalandoci due ore di infinito. Moresco non si è risparmiato, è il caso anche di dire che non si è arreso dinanzi ai saltuari problemi tecnici, e ha risposto a tutte le domande e le curiosità che la sua biografia e la lettura del suo libro Il grido ci avevano fatto sorgere.
Il confronto è partito, inevitabilmente, dall’argomento “pandemia”: abbiamo chiesto come pensava fosse stata gestita dalla politica e dai media. Ha risposto: «Le persone non si aspettano che possano venire colpite da un qualcosa che non dipende da loro, si ritengono i padroni dell’universo. Ma un microscopico esserino è riuscito a mettere in ginocchio le nostre strutture economiche, politiche e sociali. All’inizio l’emergenza è stata gestita con grande sottovalutazione e confusione, con dei picchi di imbecillità in alcuni Paesi, che sono andati avanti per la loro strada fino a quando non ci hanno sbattuto il naso e hanno dovuto fare cose che prima non volevano fare. Questo microorganismo ci ha fatto capire che noi siamo fragili e questa è una lezione che dovrebbe servire a cambiare molte cose, anzitutto a ridimensionare la nostra arroganza e poi a ripensare e reinventare il sistema. Si sente ripetere che “dobbiamo tornare alla normalità”, io sostengo che non dovremmo tornare alla “normalità”, perché la “normalità” ci ha portato al punto in cui siamo.».
Andando alla vita di Moresco, abbiamo scoperto che persino lui “ha fatto a botte con la scuola”, fin dalle elementari: «Adesso ci sono molte definizioni per queste cose, allora ero un cretino». Era come imprigionato, non riusciva ad apprendere. L’esser stato mandato in collegio e i problemi familiari (di cui parla nel libro), di certo, non l’hanno aiutato. Bocciato più volte alle superiori, scherza: «So di non essere un buon esempio». A 30 anni si è messo a studiare per conto suo, quello che gli piaceva e lo interessava, con grande passione. Non è il primo autodidatta famoso, ma ci stupisce sempre la tenacia di chi arriva a costruirsi autonomamente una così vasta cultura e ci fa dedurre che, sì, non è mai troppo tardi.
Anche quando era un ragazzo “asino”, ha proseguito, gli piaceva leggere e riempire diari. Tra i 20 e i 30 anni ha fatto altro (non fa mistero, nei suoi testi, di aver militato in formazioni politiche dell’estremismo rosso). Dopo non sapeva dove andare, tutto quello in cui aveva creduto si era dimostrato vano e non aveva una laurea. Così ha ricominciato a leggere e studiare, dai greci e dagli storici fino ai tempi nostri, e con gli anni è diventato uno scrittore: «Vivevo molto isolato, ho dovuto cercarmi gli amici e i fratelli nei libri, attraverso il tempo e lo spazio, e loro mi dicevano cose che io ritenevo vere perché le avevo sperimentate, non come quando si apprendono a scuola per dovere e possono perdere quell’incanto, quella verità che possiedono. Ho cominciato a maturare l’idea che avevo dentro di me un bisogno di espressione che era rimasto fino ad allora bloccato e, in quel posticino alla periferia di Milano in cui vivevo, ho cominciato a scrivere in bagno, col quaderno sulle ginocchia. Era come se dovessi imparare a scrivere mentre scrivevo, all’inizio facevo molta fatica, ero autistico a fare uscire le frasi una dopo l’altra. Però la vita ti sorprende, si apre di colpo quando non te l’aspetti, ti tende degli agguati e ti fa fare delle cose che erano dentro di te e trovano finalmente una strada per venire fuori. L’importante è rimanere sempre aperti e non avere mai paura di abbandonarsi a quello che sentiamo essere la nostra passione.».
Consigliamo a tutti di visitare il sito ufficiale di Moresco, curato dalla casa editrice SEM; troverete la sezione “Portafortuna”, con tantissimi disegnini che scarabocchiava per sua figlia bambina prima di accompagnarla a scuola; contengono tutti l’incitamento nel gergo giovanile allora in voga “Vai tranquilla e pesta duro”. Gli abbiamo domandato quale potesse essere oggi un incoraggiamento per noi studenti e ha chiosato che non c’è una ricetta buona per tutti; ognuno di noi, anche se ha dei buoni consigli, la strada se la deve trovare da solo. «Non abbiate paura – ha ribadito – di avere idee grandi e ambiziose. Io mandavo i libri agli editori e per 15 anni mi hanno risposto di cambiare mestiere. Non li ho ascoltati.». Lo ha poi “riconosciuto” la Bollati Boringhieri ed è stata la città di Torino a battezzarlo come scrittore.
Moresco è il fondatore dell’associazione “Repubblica nomade”, che da circa 10 anni organizza cammini in Italia e in Europa. Nel 2011, lui e un gruppo di scrittori della rivista Il Primo Amore hanno dato vita a “Cammina cammina”, un lungo spostamento a piedi da Milano a Napoli-Scampia; nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, lo scopo era quello di ricucire con i loro passi un Paese che molti vorrebbero sempre più disunito e devastato. Nel 2013 l’orizzonte si è ampliato e, con “Freccia d’Europa”, sono partiti da Mantova per arrivare a Strasburgo, per consegnare al Parlamento Europeo e al suo Presidente Martin Schulz il messaggio per un’Europa più vicina all’idea dei suoi fondatori: riacchiappare il sogno del Manifesto di Ventotene di Spinelli, quello di un’Europa crogiuolo di popoli che si univano dopo essersi scontrati fino all’attimo prima. Il guaio, secondo Moresco, è che è stata ultimata l’unità economico-monetaria ma non quella politica; si sta notando anche ora come alcuni Paesi, nonostante l’emergenza economico-sanitaria, non riescano ad essere solidali. Il momento è cruciale: o l’Europa ce la fa a compiere l’unità e diventa faro per il mondo, o muore. Moresco spera che un continente nuovo possa nascere ma non ne è sicuro. Sui cammini ha condiviso con noi un ottimo feedback: «Si è tutti uguali, tutti fanno lo stesso sforzo, vivono la stessa avventura. Si provano cose che ci si porta dietro anche quando si è finito di camminare, si sperimenta il mondo come un’apparizione. Si trova il coraggio di compiere imprese che si credevano impossibili.». Abbiamo reclamato qualche dettaglio in più sul cammino “Firenze-Assisi-Recanati” del 2019, al termine del quale, durante le Celebrazioni leopardiane per i festeggiamenti del 221° anniversario della nascita del celebre poeta e per il Bicentenario de L’infinito, Moresco ha ricevuto il Premio Leopardi con la seguente motivazione: «È, tra tutti gli scrittori italiani contemporanei, il più leopardiano. Nei suoi libri, Leopardi è presenza costante: nominato e citato assai spesso, è interlocutore privilegiato e diventa persino personaggio.». Noi stiamo studiando Leopardi propria ora e abbiamo riscontrato che, in effetti, l’appello all’umanità di Moresco è molto simile a quello de La ginestra; lo abbiamo, dunque, sollecitato a spiegarci perché non è vero che Leopardi fosse pessimista e perché, come scrive ne Il grido, gli abbiano affibbiato questo stupido nome; abbiamo, insomma, reclamato la chiave con la quale riuscire a interiorizzare questo scrittore fondamentale. «Ho molto amore per Leopardi, quando non riuscivo a leggere scrivere imparare, mi ha sbloccato L’infinito. Ho lasciato scritto – ha rivelato – che, quando morirò, voglio che mi brucino con il libriccino dei Canti nella tasca dei jeans perché voglio diventare cenere assieme a lui. In Leopardi c’è tanto amore, che è anche amore ferito, ma non muore mai. La ginestra ne è la dimostrazione. L’autore che dice la verità non t’inganna, ti dà la forza sentimentale per affrontare il male, per non fartene vincere e travolgere. Leopardi a volte è impietoso ma non è cinico. Lui non accetta lo schifo, vuole qualcosa d’altro, ci insegna ad innalzarci, ad elevarci. È un maestro.».
Partendo dal video “Morire per un ideale”, visionabile sul sito di Moresco, in cui commenta la lettera-testamento di Lorenzo Orsetti, trentatreenne fiorentino ucciso in Siria perché impegnato tra le forze filo-curde contro lo Stato Islamico, abbiamo chiesto, al settantenne che ci ha provato a cambiare il mondo, come possa la nostra generazione, nel nostro povero Paese perduto come lo definisce ne Il grido, costruirsi e poi lottare per dei buoni ideali collettivi. «Amo l’Italia – ha premesso – ma è un paese drammatico, anche per gli scrittori, perché sembra perennemente incompiuto ed è strano perché la nostra è l’unica letteratura in cui gli scrittori sentono su di loro il dramma del proprio Paese, da Dante (e qui ha declamato la terzina iniziale dell’invettiva del canto VI del Purgatorio, ndr), quando l’Italia era una cosa geografica e non politica, a Leopardi, Pasolini o Gadda. L’Italia ce la fa se riesce ad entrare dentro un vettore più grande, l’Europa, che ne valorizza gli aspetti migliori e la fa crescere. Il cancro che corrode il Paese è la mancanza di passione e incanto nel vivere le esperienze. Gli Italiani, se li prendi uno per uno, sono persone fantastiche; se li metti assieme, è un disastro.».
Si è passati poi ad analizzare alcuni precisi brani de Il grido. Sotto i nostri occhi sta succedendo una cosa enorme, ma che noi non vogliamo vedere: le nostre sono le prime generazioni umane a vivere al cospetto di un’estinzione di specie. Eppure tutto continua come se niente fosse, perché i domini umani traggono il loro potere proprio da questo occultamento. Economia, politica, società, costume, informazione, cultura: tutto sembra organizzato e concepito per perpetuare una simile tragica rimozione. Tutto continua come se niente fosse. Ruota tutto attorno a una domanda il libro: che fine fa la specie intelligente, l’uomo, se distrugge il proprio habitat e le sue stesse condizioni di vita? Moresco riflette attorno a questa domanda con un pamphlet che assume via via la forma di un grido. L’autore e personaggio cammina, in una Milano rarefatta e iperurbana, accanto a figure celebri (Balzac, Dostoevskij, Leopardi, Houellebecq, Kafka, Dickinson, Elvis, Callas, Goya, Van Gogh, Rembrandt, Beethoven, Hawking, Buňuel, Darwin, Marx, Freud, Nietzsche e Severino), o meglio, man mano che s’addentra nella notte, viene visitato dai cloni di questi personaggi. Ciascuno si esprime con le parole dei propri scritti. La conversazione si trascina in un orinatoio pubblico, dove il protagonista e i cloni si radunano e, al cospetto di un Elvis dalla pisciata infinita, la discussione si fa sempre più accesa. Quella che mette in scena Moresco è la notte dell’umanità, nella quale soltanto cloni-fantasma possono irrompere nella testa dell’uomo solitario. Gli uomini, dinanzi alle parole della Natura del Dialogo della natura e di un Islandese, sono richiamati alla fratellanza, sogno titanico leopardiano della Ginestra vesuviana.
A pag. 22 ha scritto: «Noi la nostra chance l’abbiamo avuta, adesso avanti le pantegane, i pappataci, i batteri…» e a pag. 41 cita, riportando uno stralcio di un’intervista che aveva letto, i virus… Il grido acquista un significato ulteriore dopo quello che è successo perché uno dei pericoli di cui parlava si è verificato e non era frutto dell’immaginazione di un catastrofista, ma di un uomo che non nega i danni del surriscaldamento globale e del liberismo spinto. A pag. 10 ha scritto: «Eppure nessuno, dall’interno di questo mondo, ha il coraggio di dire come stanno veramente le cose, che il male non è solo in alto ma anche in basso, che l’alto è lo specchio del basso e il basso dell’alto, perché tutti devono lisciare il pelo di queste masse resettate e private dei veri termini di conoscenza della nostra condizione di specie, o che vogliono solo qualcuno che le narcotizzi con delle frottole per poter continuare a tenere la testa sotto la sabbia e non vedere quello che ci sta accadendo veramente.». Le responsabilità stanno ai politici come a chi li vota e viceversa e, per noi ormai quasi tutti prossimi elettori, non è semplice districarci tra le questioni geopolitiche. Moresco, nell’aiutarci a mettere ordine tra le suggestioni dell’attualità, si chiede come persone con la forma mentis di Johnson e Trump possano governare popoli, com’è possibile che il meccanismo democratico spinga avanti dei simili personaggi, impreparati immaturi e grotteschi, come ai diritti umani si possano anteporre le logiche industriali economiche e militari. Il regime totalitario cinese non è da tollerare, in questa occasione ad esempio ha diffuso in ritardo la notizia dell’epidemia, ma in Occidente non va meglio: la democrazia è malata, non riesce a far emergere la parte migliore dell’umanità ma solo il pantano, in cui la spuntano i peggiori. Il vecchio mondo politico non sega il ramo sul quale è seduto anche se il ramo è marcio, difende se stesso. Menzionando il racconto La cedola falsa di Tolstoj, Moresco ha chiarito che rifiuta il discorso delle responsabilità collettive, le responsabilità sono individuali e possono innescare un circolo vizioso ma anche virtuoso. «Noi non siamo e possiamo tutto, ma possiamo fare la differenza. Conta moltissimo l’impegno di ogni singola persona.».
A pag. 26 si sofferma sull’epoca CIS e a noi così l’ha descritta: «Abbiamo di fronte a noi ardui pericoli, ma c’è l’imperativo del riso. Tutti con la bocca da un orecchio all’altro. Proprio adesso ci viene chiesto questo sorriso ebete! Non si tollera uno che si faccia una fotografia senza ridere. A me piace ridere, ma quando mi fanno ridere, non perché devo assumere un ictus facciale obbligatorio; i fotografi mi chiedono di non essere serio e con la faccia malinconica, ma non posso vergognarmi se sono malinconico… Una persona deve poter essere allegra o triste o come cavolo gli va di essere! Ho cercato di evidenziare il paradosso, che è un’enorme rimozione.».
Leggiamo alle pagg. 55-56: «Vecchi demoni stanno bollendo di nuovo nella pancia dell’Italia, dell’Europa e del mondo, sono riapparsi come se niente fosse nel nostro continente, che pure si è già suicidato due volte attraverso due devastanti guerre mondiali nate sul suo territorio ma che non sembra avere ancora imparato la lezione, che non la imparerà mai, a questo punto.». E ha fatto capolino l’immancabile domanda che ci si pone durante molte commemorazioni: Perché gli uomini, perché gli Italiani, faticano ad imparare le lezioni della Storia? L’albero ha memoria, ci ha illuminato Moresco, fa tesoro del fatto che in una parte siano stati tagliati dei rami; gli uomini non hanno la stessa intelligenza. A pochi decenni dall’orrore della Shoah, c’è un risorgere di gruppi neonazisti. Com’è possibile? Non è questione di opinioni. Non si può negare che sia stato l’orrore puro. Come si fa ad ergere ad eroi gli psicopatici che hanno fatto questo? Eppure lo si fa, specie nei momenti di difficoltà (crisi economiche e sociali, disoccupazione, inflazione). Bisogna stare attenti e non sottovalutare le prime avvisaglie: con l’esempio dell’andamento di una cascata, Moresco ci ha spronato, si deve agire quando si è ancora in tempo non quando tutto è perduto.
C’è stato, a seguire, un breve dibattito su società patriarcale e femminismo. Moresco, che, per esperienza personale, non potrà mai essere dalla parte dei maschi, a pag. 67, ha ragionato sui maschi che stanno facendo venire fuori il peggio da se stessi e, nelle pagine successive, ha messo però in rilievo i limiti dell’attuale femminismo, a suo dire tarato sul maschilismo. «Se una cosa che faceva l’uomo la fa la donna – ha confermato – non è che va bene, è il modello che non va bene. Non va bene il continuo cercarsi e non trovarsi dei generi. Bisogna che ciascuno dei due si liberi del modello che ha ereditato.».
Dulcis in fundo, abbiamo pregato Moresco di smentire ciò che ha scritto a pag. 99 sulla letteratura diventata ancella del nulla in questo imbuto di fine epoca e di fine specie. «La letteratura – ci ha rassicurati – è una cruna, una ferita, attraverso la quale, se si ha coraggio, si possono far passare dei messaggi. La letteratura è uno dei pochi campi in cui non si deve essere cooptati da una struttura di potere precedente per rivolgersi a un gran numero di persone. Può essere un campo di libertà molto molto forte, per questo mi dispero quando viene abbassata al fatto di scrivere ciò che è funzionale all’acquisto, al target. Devo portare insubordinazione e cambiamento e non sfruttare gli altri uomini per i miei interessi, acchiappare ragazzi o donne o altre categorie di persone. Io non voglio acchiappare nessuno, io voglio incontri esplosivi.».
E noi siamo contenti e onorati di averlo vissuto un incontro esplosivo! Che ci ha riempiti e immortalati con le bocche aperte, la mente in volo e il cuore rinfrancato da cotanta umanità. E ci ha lasciato il desiderio profondo di abbracciarlo, Moresco, magari tra gli stand del Salone del Libro, dove ha promesso di rivelarci i contenuti del libro concepito durante il lockdown.
Gemma Acri Guido, docente dell’istituto Superiore A. Cravetta di Saviglaino
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