«Tough is not enough.»
Avevo pensato di iniziare così il secondo incontro con i ragazzi di Verzuolo. Volevo entrare in classe e sparare questa frase prima ancora di dire buongiorno. Poi non ho avuto il coraggio. Forse perché lo sguardo di Clint Eastwood, colui che la pronuncia all’inizio diMillion Dollar Baby, non mi è mai riuscito particolarmente bene.
Sicché alla fine l’ho scritta alla lavagna: though is not enough.
L’abbiamo tradotta – essere tosti non basta – e ci siamo visti i primi venti minuti del film, facendo spudoratamente il tifo per Maggie (Hilary Swank), la protagonista. Impossibile non prendere le parti di questa ragazza testarda, determinata a diventare una campionessa di boxe, una che si sente bene nell’unico posto al mondo – il ring – in cui è legale essere picchiati. Impossibile non essere travolti dalla sua forza di volontà. Impossibile, persino, non invidiarla. Perché sapere qual è il tuo posto nel mondo non è così facile. Maggie l’ha capito, e nel film combatte per essere all’altezza del destino che ha scelto.
Emiliano Poddi
Sia chiaro che non sono mai salito su un ring né intendo farlo in futuro. Inoltre, nemmeno lo sguardo di Hilary Swank mi viene granché bene. Eppure mi sono sempre sentito legato aquesto personaggio, probabilmente perché il protagonista del mio romanzo d’esordio, Tre volte invano, è una specie di fratellino minore di Maggie. Anche lui è convinto che esista al mondo una sola cosa in grado di renderlo felice, e cioè giocare a basket. Cerca con tutte le sue forze di diventare bravo, come Maggie. A un certo punto ci riesce, come Maggie. E alla fine, proprio come Maggie, scopre due cose.
Primo: che essere tosti non basta, aveva ragione Clint Eastwood.
E secondo: che sebbene le cose non siano andate nel verso giusto, in ogni caso valeva la pena di provarci.
Poi è suonata la campanella, ma eravamo talmente presi dalla storia di Maggie che ci è sembrata un gong.
Fine della seconda ripresa, in attesa della prossima.
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