Qualche giorno fa, mentre tornavo in macchina da una cena in Lunigiana, ho visto un cucciolo di cinghiale cha attraversava la strada. Ho accostato e subito dopo ne ho visto un altro, poi un altro ancora. A quel punto mi aspettavo che comparisse la madre e così è stato. Dopo la madre è stata la volta di altri tre o quattro cuccioli. Quando sembrava tutto finito, ecco che mi passa davanti una seconda famiglia, un’altra madre con altri cuccioli al seguito.
L’ho raccontato ai ragazzi di Verzuolo, dicendo loro che mi sono sentito come Tom Cruise quando in Collateral assiste sbalordito all’apparizione notturna di un coyote nel bel mezzo di una via trafficata, mi pare a Chicago.
Perché gli animali ci fanno quest’effetto?
Come mai in loro presenza ci viene sempre da trattenere il respiro?
E non è che stessi andando fuori tema, almeno credo. Il libro scelto dagli studenti e della loro prof – Anna, una ragazza gentile, intelligente e appassionata – era infatti La pelle dell’orso di Matteo Righetto (Guanda), la storia di un ragazzino che vive a ridosso di montagne popolate da cervi, aquile, cinghiali, lupi, nonché da un terrificante orso, quello del titolo.
È venuto fuori che molti degli allievi di Anna avvistano abbastanza normalmente cervi e caprioli dalle loro case in montagna, una cosa che ha suscitato in me una certa invidia. Eppure anche questi ragazzi hanno ogni volta la sensazione che si tratti di un miracolo, di una specie di epifania soprannaturale sebbene sia, in effetti, del tutto naturale.
Perché?
Siamo arrivati alle seguenti conclusioni, che riporto più o meno nell’ordine in cui sono state esposte.
Perché gli animali sono imprevedibili, e dunque non sai mai cosa aspettarti da loro.
Perché sono veloci, il che rende la loro presenza qualcosa di furtivo e passeggero.
Perché prendono le decisioni più con il fiuto che con la testa.
Perché, in definitiva, sono diversi da noi. O meglio, sono diversi da ciò che siamo diventati dopo millenni di evoluzione e di affinamento delle nostre capacità intellettive.
Osservare da vicino un animale selvatico è un po’ come guardarsi in uno specchio che ci riporta indietro nel tempo; in lui riconosciamo, cioè, quel residuo di istintività che ancoraconserviamo dentro di noi, e che ogni tanto sentiamo il bisogno di liberare.
Come Domenico, il protagonista del romanzo di Righetto, quando finalmente si trova di fronte all’orso. O come Tom Cruise davanti al coyote. Più modestamente, anche come me al cospetto dei cinghiali della Lunigiana, una visione ammaliante, quasi ipnotica nel susseguirsi regolare degli attraversamenti della carreggiata, un cucciolo dopo l’altro – tre, quattro, cinque, sei… –, la versione selvatica delle pecorelle che si contano per prendere sonno.
Nessun commento
Non ci sono ancora commenti, ma tu potresti essere il primo a scriverne uno.