Se dovessi descrivere questa esperienza e raccontarla, non riuscirei a farlo se non partendo da una metafora, da un’immagine che mi porto dentro da quando ho iniziato a leggere il libro di Ala Al Aswani, “Cairo Automobile Club”. Il libro che ci ha dato l’opportunità di fare questo percorso con i ragazzi del liceo classico Cavour. Ebbene questo romanzo parte da una storia, la storia di Bertha e Karl Benz, la storia dell’invenzione dell’automobile.
“Il motore è una macchina che trasforma energia meccanica in energia di movimento”, mi diceva mio nonno quando ero piccola, ed è questa energia che cammina a portarci fino al Cairo, il suo movimento arriva fino all’Egitto degli anni ‘40, si infiltra tra gli ingranaggi del Cairo Automobile Club, tra le vite dei personaggi che abitano questo luogo. Un’ energia talmente forte da arrivare fino a noi, che abbiamo scelto di salire sull’automobile per giungere dai ragazzi. Ma l’energia da sola non basta, nonostante la forza prorompente del motore, a volte ci si ribalta comunque,come succede a Karl Benz nel libro la prima volta che mette in moto il suo prodigio, l’automobile. Forse però è necessario farlo, è necessario passare da lì, dalla sconfitta, per ripartire nel modo giusto. Anche noi come lui, durante i primi incontri con i ragazzi, ci siamo ritrovati con in mano una quantità di idee e suggestioni che il romanzo ci aveva lasciato e non siamo riusciti ad attirarli come avremmo voluto, non siamo riusciti a gestire la nostra energia. Forse, perché troppa energia insieme non va bene, rischia di sopraffarti invece che trascinarti, forse, perchè l’energia di questo tipo va prima incanalata, assorbita, e solo dopo si è pronti a partire. E così abbiamo aggiustato la nostra auto, prendendo ispirazione da Bertha non ci siamo dati per vinti e abbiamo riprovato, questa volta senza premere sull’acceleratore. Siamo ripartiti da una domanda, abbiamo chiesto ai ragazzi di parlarci del loro più grande sogno e della loro più grande paura. Sì, in fondo è tutto lì, partire dalle persone, che poi è quello che fa anche Ala Al Aswani, che poi è quello che fanno gli scrittori, quelli veri. La cosa meravigliosa è stata che a quel punto sono stati proprio i ragazzi a riagganciarsi alle “persone” del romanzo, gli stessi ragazzi che all’inizio dovevano infilare i nostri incontri tra un compito di matematica e una interrogazione di latino – perché al classico si studia tanto e il tempo per leggere non si trova, non ce n’è abbastanza – alla fine il libro lo hanno letto anche di notte pur di finirlo. Noi avevamo questa missione. Donare a loro qualcosa di speciale, donare a loro questa curiosità meravigliosa per le storie, le storie di personaggi che in qualche modo diventano parte di noi. Per donare bisogna fidarsi, per ricevere bisogna scegliere. Noi abbiamo scelto di fare questo e loro si sono fidati di noi e poi, come è giusto che avvenga, loro ci hanno scelto e noi ci siamo affidati a loro. La macchina è ripartita e questa volta ci siamo saliti tutti, il motore ha rombato forte e abbiamo iniziato ad andare, andare di nuovo lì, in Egitto, a toccare con mano le storie di Kamel, Saliha e di tutti gli altri. L’energia che abbiamo creato ci è servita per arrivare fino allo scrittore, in carne ed ossa e quando la benzina è finita è stata la curiosità a fare da carburante, la voglia di saperne di più sul libro, ma anche su di lui e su cosa significhi davvero fare lo scrittore, sul perché si scrive. Il motore continua ad andare, l’energia continua a scorrere e chissà fino a dove arriverà la nostra automobile. Io non lo so, ma ho scelto di rimanerci sù e vedere cosa succede.
Glenda Plumari, Scuola Holden
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