Da piccolo a carnevale chiedevo spesso a mia mamma se potevo vestirmi da accattone, da mendicante o da cieco. Lei mi diceva sempre di no, deviandomi su costumi decisamente più tradizionali: Robin Hood, Zorro, l’Uomo Ragno. Erano costumi bellissimi, niente da dire, però io un po’ ci restavo male, come se dentro di me covasse un piccolo trovatello bisognoso di ricevere l’elemosina, di essere accudito o, nel migliore dei casi, adottato.
Più di trent’anni dopo, inaspettatamente, il mio sogno si è realizzato, e senza nemmeno aspettare Carnevale.
“Le andrebbe di essere adottato?”, mi domanda gentilmente qualche mese fa un’organizzatrice di ‘Adotta uno scrittore’.
Poi mi spiega la cosa più incredibile di tutte: non verrò adottato da due soli genitori più grandi di me, come vorrebbe la tradizione, ma bensì da un’intera classe di ragazzi di prima liceo scientifico.
“Allora, le andrebbe di essere adottato?” ripete gentilmente la voce al telefono.
“Con tanto di biberon e sonaglino?”.
“Come scusi?”.
“Scherzavo”.
“Quindi accetta?”.
“Se accetto? Non mi lascerei sfuggire un’occasione del genere per nessun motivo al mondo”.
Arriva il grande giorno, entro un po’ emozionato nella classe prima Dnr (indirizzo normale) del liceo scientifico Marie Curie di Pinerolo, e capitanati dalla professoressa Cristiana Tron eccoli lì, pronti ad attendermi nelle loro felpe super colorate e nei loro corpi prodigiosamente giovani.
I miei trenta nuovi papi e le mie trenta nuove mami.
Buffo davvero, per non dire paradossale: io che potrei essere loro padre mi ritrovo ufficialmente autorizzato a ringiovanire, dando libero sfogo al mio fanciullino interiore, loro che potrebbero essere i miei figli si sentono in qualche modo tenuti a maturare precocemente, sfoderando risposte sagge che farebbero impallidire un vecchio saggio indiano Sioux.
È un gioco, certo, ma forse nemmeno così tanto quanto sembrerebbe: dopo poco più di un’ora, passandomi una mano sulla guancia, giurerei di averla sentita stranamente liscia e glabra, così come giurerei di aver scorto sottili rughe appena accennate fare capolino intorno agli occhi dei miei piccoli e saggi genitori adottivi.
Il suono della campanella pone fine all’incantesimo, altrimenti chissà dove saremmo andati a finire.
“Che stia in questo adottarsi e adattarsi a vicenda il segreto per crescere davvero?”, mi domando uscendo dal liceo Marie Curie di Pinerolo due ore dopo.
Sto per mettere in moto la macchina, ma poi qualcosa mi blocca. Estraggo la patente di tasca, la apro e rileggo la mia data di nascita. O meglio, la ripasso. Così, tanto per assicurarmi di essere rientrato nella mia abituale identità di quarantacinquenne.
A prestissimo ragazzi, e grazie per avermi regalato un giro di due ore nella vostra pelle!
Eric Minetto
Leggi anche il racconto di Eric Minetto dopo il secondo incontro
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