Stefano Benni è riuscito a stupirmi solo grazie al curioso accostamento di parole che ha usato nel titolo del suo nuovo libro “Cari mostri”, presentato due giorni fa (Venerdì 18 Settembre) al teatro Verdi di Pordenone, nel quale “caro”, termine solitamente rivolto ad un amico o ad un famigliare, è posto assieme all’essere che più di tutti dovrebbe terrorizzarci, il “mostro”.
Certo nessuno di noi si sognerebbe di accogliere un orribile e malvagio essere, con la cortesia e l’affetto che di solito dedichiamo solo agli affetti più intimi.
Forse non tutti conoscono, però, l’origine latina della parola “monstrum”, che significa essere meraviglioso: qualcosa di affascinante in maniera stupefacente ed insolita, non, semplicemente, bello. A mio avviso è con entrambi i significati, quello antico e quello odierno, che l’autore ha voluto confrontarsi. Non ha voluto, cioè, limitarsi soltanto a generare paura nello spettatore ma, divenendo un po’ lo psicanalista del pubblico, sembra essersi divertito ad osservare lo stupefacente ed imprevedibile mutazione che questo sentimento genera nell’animo umano.
È in questo che consiste la meraviglia: togliere il fiato, disorientare sino a terrorizzare – come quando si guarda giù per un baratro profondissimo – ed è in questo che consiste il “monstrum”. Non a caso uno dei personaggi che lo scrittore ci ha presentato nel primo dei suoi tre racconti, Reynolds, è un crudele pittore che cattura nei suoi quadri gli ultimi istanti di vita delle sue vittime, dipingendone lo sguardo, unico ed irriproducibile in altre condizioni, di animali smarriti, spauriti e rassegnati. Non a caso uno di questi soggetti destinati alla morte si chiama Eddie, che altro non è (e l’autore ce lo rivela astutamente soltanto alla fine) che il diminutivo di Edgar Allan Poe, il celebre autore di fine ottocento di brevi e famosissimi racconti dell’orrore e studioso accanito dell’evoluzione psicologica umana negli irrazionali attimi della paura.
Tutta questa importante mole di analisi e significati ha preso vita e colore solo grazie al pathos e all’espressività eccezionale che l’autore ha messo nella lettura. Niente sarebbe stato di così entusiasmante e coinvolgente, senza anche la giusta atmosfera malinconica ed angosciante creata dal pizzicato leggero sulle corde di un violoncello. Lo scorrere preciso e leggiadro delle abili mani di Riviera Lazeri sulla tastiera del suo strumento, è qualcosa di veramente incantevole e suggestivo a cui assistere. Una studiatissima alternanza di suoni lunghi e mielosi e velocissime sequenze di note acute e stridule, che si intonava alla perfezione con la voce plastica dell’autore, al tempo minuta e graffiante e al tempo cavernosa e rauca.
Lo stupore continua. Benni lo fa regalandoci un “mix” incantevole di comico e grottesco, che vede un ormai decrepito conte Dracula alle prese con un agente del fisco italiano. Il tutto si chiude nel gelido e rattristante racconto di un vecchio che, incarnazione della paura più grande dello scrittore (come lui stesso ci svela), per quanto cammini lungo il suo familiare viale dei platani, completamente avvolto dalla foschia più densa, non raggiunge mai casa propria e alla fine, stremato, si arrende al suo destino.
Riaccese le luci, ecco che anche il pubblico si riprende dal suo smarrimento e dal suo torpore, la nebbia della magica illusione si è dissolta per lasciare il posto al suono cicalante e crepitante dell’applauso.
Lorenzo Modena – Liceo Michelangelo Grigoletti di Pordenone 5^E
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