Giovanni Greco è stato adottato dal IIS Bobbio Carignano: ci racconta la sua esperienza. Attenzione: non perdetevi questo pezzo, contiene anche ragionati e ben argomentati consigli di lettura. A lui la parola, la Redazione ringrazia

Parlare di libri non è mai facile senza cadere nella retorica. Dei propri e di quelli degli altri, non fa grande differenza. Parlarne con dei giovani è poi un’impresa che supera i limiti dell’umano e attinge alla dimensione titanica della lotta contro il più forte, il vincitore predestinato, il re degli dèi che ti può schiacciare in qualunque momento senza il minimo senso di colpa, anzi con quel senso dell’inevitabile che solo le divinità spensierate si possono permettere. Le divinità spensierate che sono l’Universo Telematico (Facebook, Twitter, Youtube), il Mercato Libero cinico e baro che brucia e consuma tutto nel giro di un minuto, la Televisione consolatoria dei Reality e dei Talent Show, incarnazioni irresistibili di Zeus e di Pluto (nel senso della Ricchezza), di Ermes e di Afrodite, di Ares e di Efesto, contro le quali un povero aedo mortale non può nulla se non immolarsi eroicamente, anche se spesso inutilmente.

Sono dunque entrato nell’Istituto Bobbio di Carignano con una mia scaletta di libri da proporre e raccontare secondo il compito assegnato (resto comunque uno scolaro diligente dalla notte dei tempi), di aneddoti personali e spunti impersonali da mettere sul piatto, pronto a disattendere alla prima occasione tutto quello che ero riuscito a buttare giù nel viaggio antelucano da Roma a Torino e a rinnegare settanta volte sette ogni affermazione più o meno intelligente che mi ero più o meno appuntato, ogni citazione più o meno brillante da sfoggiare al momento più o meno opportuno, ogni idea provocatoria e scandalosa almeno per me finché non mi fosse stato restituito o anche solo evocato il contrario. Tutto questo perché io sono un ‘ex-timido’, uno curato con il teatro e quasi completamente ‘risocializzato’ che parla, oggi come oggi, in maniera disinvolta e senza soluzioni di continuità, ma che talora, a certe condizioni, in certi climi o contesti, può finire che arrossisce, balbetta e si smarrisce dantescamente senza volerlo, per puro masochismo o involontario sadismo nei confronti dell’interlocutore, prendendo la strada di infinite digressioni che lo fanno arrossire e balbettare ancora di più come ai bei vecchi tempi in cui tutto questo era la normalità, cioè quando era uno scolaro diligente come quelli che mi sono trovato davanti una mattina di marzo.

Ma quelli che ho trovato ad attendermi non erano solo scolari diligenti o forse non lo erano per niente. Erano e sono ragazzi curiosi, che fanno domande, che sanno stare al gioco se si propone loro un gioco. Ed è stato proprio un gioco, non ricordo come uscito fuori, a rompere letteralmente il ghiaccio, dopo i primi minuti più formali e ingessati che seguivano un copione perlopiù noto di sorrisi imbarazzati, libri suggeriti in punta di piedi e domande più o meno convinte. Il gioco è stato quello di proporre un viaggio all’indietro nella memoria di ognuno alla ricerca di equivoci linguistici, di fraintendimenti clamorosi che tutti noi conserviamo più o meno pudicamente nel nostro passato di parlanti imperfetti che imparano la lingua (e poi le lingue), facendo grandi strafalcioni, convivendo con grandi malintesi per anni e per lustri che poi solo un giorno, magari non troppo lontano dagli attuali, si mostrano per quello che sono: la capacità di ridescriversi la realtà e dunque di parlarne in certi termini, ricollocandoli nel già noto con le buone o con le cattive, in coscienza o in incoscienza, per disattenzione o per analogia. Così ho cominciato io: raccontando di me bambino che recitavo in piena fede ma con grande e inconfessato disappunto interiore il Padre nostro concludendo … e liberaci dal mare, amen (episodio evocato nel mio primo romanzo, Malcrianza). A quel punto i ragazzi hanno fatto a gara a rievocare episodi personali di misunderstanding (e il loro docente non si è sottratto al momento ludico): una consonante, una vocale, un’intera parola di una sigla, di una canzone, di una preghiera che non tornavano e che venivano fatti tornare comunque e che solo a posteriori si sono scoperti come tutt’altro. Così è emerso il primo libro, assolutamente non previsto e che forse non avrei mai consigliato razionalmente, Libera nos a malo di Luigi Meneghello che elegge il malinteso infantile a filo rosso del racconto con effetti esilaranti e didattici allo stesso tempo di una condizione infantile che è primariamente ed etimologicamente l’età dell’apprendimento del linguaggio.

E su questa linea il mio pensiero è corso subito a Shakespeare, agli infiniti pun, Witz, pointe, giochi di parole che sono il motore dell’azione drammatica, comica e tragica, che sostanziano il conflitto scenico in un continuo inciampo dell’espressione, in una reiterata possibilità di aprire le parole come bauli per tirarne fuori storie diverse, simultanee, persino contraddittorie. Già, le parole-baule, le portmanteau-words di cui parla Lewis Carrol (e Deleuze, che mi sono ben guardato dal citare…): ecco che sono tornati in superficie, insperati, altri libri – Alice nel paese delle meraviglie, Attraverso lo specchio, Silvie e Bruno, cui non avevo minimamente pensato per un ipotetico decalogo dei libri letti, da leggere, che cambiano il punto di osservazione sul mondo e ti lasciano diverso rispetto a quando hai cominciato a leggerli. Nella consapevolezza che forse non esiste un decalogo dei libri imprescindibili, di quelli che si dovrebbero salvare in un nuovo ipotetico rogo della Biblioteca di Alessandria, di classici imperituri e imperdibili, ma solo libri più intonati alle urgenze del momento, che possono riemergere da una passione onnivora, capace di cogliere l’attimo e servire in quell’attimo e poi scomparire per mesi, per anni e riapparire come la famigerata madeleinette quando meno te lo aspetti Ne sono venuti fuori molti altri di libri, in questo modo, per associazione, alcuni anche tra quelli che mi ero appuntato, mentre il tempo correva via: perché un libro tira l’altro, e solo se un libro tira l’altro, si serve con l’esempio il Dio della lettura, si ribadisce non solo e non tanto l’importanza del singolo autore o del singolo romanzo, l’amore persino viscerale per quel titolo e per quella figura di scrittore che mi hanno a un certo punto cambiato la vita fino all’arrivo di un altro titolo e di un altro autore, ma la verità indiscutibile dell’amore, fisico e metafisico, per la lettura, per l’atto di aprire e chiudere i libri, dello sfogliare (anche per via ebook) le pagine che sanno di nuovo e di vecchio, come un atto vitale, devoto e unico. Perché come diceva qualcuno ‘tutti gli amori finiscono, resta solo l’Amore’…

Giovanni Greco