Il veliero sul tetto, a breve nelle librerie, è l’ultimo libro di Paolo Rumiz, scrittore e giornalista triestino. Dalla sua esperienza di quarantena trae spunto per una storia stimolante, alla riscoperta delle radici dell’essere umano. Si tratta di un viaggio non tanto fisico quanto psicologico, che egli compie nella sua casa di Trieste. La cucina diventa il ristorante, il corridoio il luogo della memoria e il letto l’albergo.
Tutto inizia una mattina presto quando, appesantito dai brutti sogni, l’autore esce di casa e sale le scale che lo portano sul tetto, da cui ammira l’Adriatico su tre lati. Il sole sorge e Rumiz immagina di essere il capitano di un veliero in mare aperto. Sono queste le premesse di un’esperienza nuova, in cui prevalgono le dimensioni onirica e immaginifica, che permettono allo scrittore di fuggire verticalmente da una limitazione di spazio in senso orizzontale.
La pandemia diventa occasione per “un viaggio nel tempo perduto, una formidabile riflessione, un utilissimo avvertimento agli uomini perché cambino rotta”. Rumiz dichiara di essersi sentito ancora più vicino alla Divina Commedia, ai tre regni dell’oltretomba, che altro non sono che proiezioni della psicologia umana nei diversi momenti della vita. Lo scrittore interpreta il Paradiso come”riconquista della semplicità di se stessi”. La quarantena diventa il pretesto per un riavvicinamento dell’essere umano alla sua dimensione intima, grazie a rituali primordiali, come la panificazione, che Rumiz non banalizza, ma anzi esalta in quanto strumento di riscoperta della propria identità.
La speranza dello scrittore è che l’epidemia non sia solo sofferenza, ma anche un momento di autoanalisi. Si augura che non porti a un atteggiamento di chiusura verso il prossimo, quanto piuttosto a una riflessione su come migliorare le relazione tra esseri umani.
Giacomo Bosco e Luca Pasin, Liceo Alfieri, Torino
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