Con l’intervento di Gian Luigi Beccaria, linguista, critico letterario e saggista, viene dedicata un’attenta riflessione alla nostra lingua. Vanta nel suo curriculum il titolo di membro dell’Accademia della Crusca, dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell’Accademia dei Lincei, oltre ad aver frequentato in veste di professore l’Università di Salamanca e quella di Torino. Dopo aver condotto numerosi studi sulla lingua e sulla letteratura italiana, ci offre una sua scrupolosa analisi.  L’italiano è una lingua molto antica, il cui primo documento fu redatto, infatti, nel 960, e nel corso della sua evoluzione si è contraddistinta come una tra le più flessibili. Inizialmente etichettata come mosaico di dialetti, ai suoi albori attingeva dai vari dialetti presenti nella penisola numerosi termini. Propri di diversi livelli comunicativi, erano in conflitto tra di loro per prevalere nell’uso comune. Spostandosi dalle proprie radici nazionali, sempre di più, recentemente, il nostro idioma ha incorporato termini provenienti da lingue straniere: se nel ‘700 prevaleva la lingua francese, negli ultimi anni assume un ruolo centrale l’angloamericano. Alla base di questa supremazia può essere distinto un fattore principale: non identificandosi come lingua umanistica, diventa fondamentale nel linguaggio settoriale con una precisa funzione strumentale, potendo vantare nei propri territori laboratori di ricerca di rilievo. Essendo così sfruttata, i suoi termini entrano addirittura nel linguaggio comune: da ciò scaturisce una forte discussione riguardo alla funzionalità di sfruttare una tale lingua settoriale anche rivolgendosi alle masse. Gli italiani sono così influenzati da questa anglicizzazione, al punto che alcune scuole sono arrivate ad assumere l’inglese come unica lingua didattica. Questo, secondo Beccaria, porta a gravi conseguenze, quali una parziale perdita del proprio patrimonio culturale. Viene quindi rivolta particolare attenzione all’uso degli eufemismi, con il fine di evitare panico diffuso o attenuare termini forti o volgari. Può sembrare superfluo affermare che le novità incutono paura, ma è bene sottolineare che una lingua che adotta termini stranieri é una lingua forte e sicura di sé.

Lorenzo Bonasia e Alesssandra Bosia, Liceo Alfieri