Il liceo Bellini di Novara dispone di un’aula insegnanti in cui campeggia in teche sotto vetro un’edizione completa della Treccani, di mappe geografiche cartacee, di cassettiere in legno ceduo che profuma di cera, di un crocifisso risalente all’estetica della stagione delle “Nuove Chiese” di Paolo VI, di una macchinetta del caffè che produce una bevanda più cremosa e degna di quella del bar. Sembra di ritornare a quando la scuola era scuola e, di fatto, è proprio così: una scuola che è protesa a fornire la migliore educazione possibile, secondo canoni contemporanei, che però non dimenticano la tradizione dell’eccellenza, con cui il nostro sistema pedagogico si assicurò la stima e l’invidia di mezzo pianeta, prima delle riforme che hanno affossato un canone, un tessuto sociale e una molteplicità di corpi sociali impegnati sul fronte dell’insegnamento. Tutto ciò, ovvero l’impegno e l’organizzazione dei docenti e, conseguentemente, la brillantezza degli allievi, è confermato dalla ricchezza emotiva e cognitiva che la classe III B ha riservato agli incontri di “Adotta uno scrittore”. I ragazzi mi avranno adottato, ma io pure ho avvertito il desiderio di adottare le loro istanze, le loro pervicaci curiosità, i loro smarrimenti. Apparentemente non ho quasi parlato del libro concordato per l’iniziativa, ovvero un testo arduo e a tratti quasi indecifrabile, che ha come perno lo stragista norvegese Anders Behring Breivik, l’autore della strage di Oslo e Utøya nel luglio 2011. Invece si è parlato proprio del mondo che deflagra in quel racconto irregolare e fuori dalle gabbie di qualunque genere. L’omicidio tecnologico, propalato da Breivik, consente di affrontare il tema della nostra contemporaneità occidentale, con tutte le sue contraddizioni e le inestricabili crisi, prive di soluzione di continuità, con cui l’epoca del rinnovato terrore e della guerra preventiva ha ammantato il pianeta, creando la cifra del tempo in cui i millennials si sono affacciati a una realtà purulenta, a una libertà irregimentata in norme e protocolli intollerabili, a un momento politico avvertito come pura estraneità o astrattezza, a una sperequazione economica e a una ferocia sociale impensata per tutto il Novecento, ovvero il tempo che precede l’esplosione d’intelligenza che gli adolescenti e i postadolescenti oggi riconoscono in Siri, tanto quanto nel compagno di banco. Si è dunque andati oltre la pagina. E dove? Cosa c’è oltre la pagina? Anzitutto c’è l’emotivo, un corpo invisibile ma non meno senziente di quello fisico. Perciò si sono affrontati temi e nodi, che la pagina sottende o tende a fare esplodere, con effetti più salutari degli ordigni norvegesi. Si è parlato di: morte, amore, sessualità, pericolo, alienazione, tempo, spazio, sguardo, politica, storia, antistoria, persona e personaggio, stili, serie tv, cinema, letteratura, archetipi, sofferenza, piacere, desiderio, cecità, schiavitù, crimine, tecnologia, musica, immaginario collettivo, manga e anìme, intelligenza artificiale, civiltà digitale, socialità, fraternità, filialità, rumore, informazione, guerra, futuro, nazismo, linearità, complessità, lettura del mondo, lettura del testo – e molto altro ancora. Dirò solo uno degli spunti che mi hanno colpito in questi ragazzi vivaci, che enunciano del tutto naturalmente il desiderio di essere visti e ascoltati, e vadano a quel paese la letteratura e gli scrittori e le scrittrici che non li vedono e non li ascoltano: la totalità della classe sapeva perfettamente cosa fosse e cosa avesse fatto la Democrazia Cristiana. A oggi, giuro che è tantissimo ed è altrettanto raro. Significa disporre di uno sguardo capace di intercettare la stratificazione del reale, della storia, dell’esistere. Non bisogna concentrarsi soltanto sull’amore che si dà ai figli, ma anche su quello che ci danno: spero che i ragazzi un poco si siano sentiti come me: amati.
Giuseppe Genna
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