Essere adottati è diverso dall’essere scelti. L’adozione avviene attraverso un abbinamento manovrato da un entità “altra” rispetto alle parti in causa… Certo, ci sono criteri, ci sono regole, ma la questione è che non ci si sceglie.

E questo vale anche per gli scrittori “adottati”: non possono scegliere una scuola piuttosto che un’altra, e neppure i ragazzi scelgono.

Così è inevitabile che ci fosse una certa preoccupazione quando sono andato a Biella ad incontrare i ragazzi della terza dell’ IIS “Rubens Vaglio”. C’era da parte mia una specie di inquietudine: chissà cosa si aspettano da me, pensavo chissà cosa si aspettano gli racconti per due ore.

Abbiamo rotto il ghiaccio partendo dalle cose facili: il mio libro, il mio lavoro di medico, la mia vocazione di scrittore, il rapporto tra questo essere un po’ l’uno e un po’ l’altro. Abbiamo letto la prima pagina di qualche “classico”. Di quei cento libri che, secondo me se ti piace leggere, non puoi non leggere: il richiamo della foresta, huckleberry finn, il diavolo in corpo, il giovane holden… Abbiamo discusso l’importanza della prima pagina. Della sua solidità, accompagnata a leggerezza, della sua sostanzialità racchiusa in poche parole, e il tempo è passato in fretta. Tutto sembrava andare per il meglio, eppure non mi sentivo pienamente tranquillo. In fondo non ero riuscito ancora a rispondere alla domanda che mi portavo dentro da tanti giorni: saranno soddisfatti di me? Sono lo scrittore che si aspettavano?

La risposta è arrivata, poco prima di lasciarci. E subito ho capito che in realtà io mi ero sempre posto la domanda sbagliata.

Le cose a cui avrei sin dall’inizio dovuto pensare erano: perché è importante che dei ragazzi di terza superiore incontrino uno scrittore? Che cosa può offrire loro di particolare uno scrittore? Che cosa si aspettano da lui?

In quel momento non avrei saputo cosa rispondere tanto ero concentrato sul fatto di essere “io” quello giusto o meno. Ma i ragazzi sì, e allora finalmente ho capito.

“Questo incontro dovrebbe aiutarci a capire che intorno a noi c’è dell’altro, che non è moda, televisione, cellulari, videogiochi…”

Intorno a noi c’è “altro”… Ecco la vera questione. Non ci avevo proprio pensato io. Non avevo pensato al bombardamento continuo a cui una persona è sottoposta. Perché nel tempo ho imparato a scegliere, a selezionare, ad abbassare il volume, di ciò che non fa per me, che non mi appartiene. Ma a 16 anni è diverso. A 16 anni devi ancora sperimentare, devi imparare a conoscerti, devi essere accettato dagli altri e nello stesso tempo accettarti. Devi diventare qualcuno a partire da quello che sei. Ed è estremamente difficile scegliere e selezionare soprattutto le cose che per loro stessa natura non fanno nessun rumore eppure racchiudono in sé tutto il sapere umano.

Alla fine ho capito che non ero “io” il problema. Chi fossi io veramente non era fondamentale come pensavo. L’importante era cosa potessi rappresentare. Ed era innanzi tutto la voce di chi non ha voce. La voce di un libro.

Grazie ragazzi!

Giuseppe Naretto