Le due torri, secondo volume della fortunata saga de Il Signore degli anelli, è stato ripubblicato in una nuova edizione il 13 maggio 2020.
Per la prima volta dopo 50 anni dalla prima uscita del romanzo, è disponibile una nuova traduzione, curata da Ottavio Fatica: a lui l‘arduo compito di soddisfare le alte aspettative di una platea esigente e puntigliosa come quella dei fan dello scrittore britannico.
Traduzione e tradizione sono due parole simili strettamente collegate, come spiega Ilide Carmignani, curatrice del ciclo l’Autore Invisibile al Salone del Libro e ospite all‘evento insieme a Ottavio Fatica e Roberto Arduini dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani.
A condurre l’intervista è Loredana Lipperini, giornalista di La Repubblica e speaker radiofonica.
Secondo la Carmignani, il traduttore ha il dovere di mantenere attuale l’opera letteraria nel tempo, preservandone la qualità e gli aspetti cardine. I classici si definiscono tali se sono stati tradotti più volte, pertanto un libro ritradotto sarà sempre considerato un classico.
La prima domanda che viene posta a Fatica riguarda la voce originale di Tolkien. Una voce descritta come volutamente forte, antica, con una pronuncia rozza, smorzata nel corso degli eventi. Spiega che durante la seconda guerra mondiale Tolkien aveva messo in pausa il suo scritto, scelta dettata dall’arruolamento del figlio. Una volta ripresa la stesura avviene un lieve cambiamento stilistico in favore di uno sguardo più descrittivo delle vicende narrate. Infatti il racconto diviene più impervio sia dal punto di vista letterario che dal punto di vista descrittivo e viene data più rilevanza al rapporto e allo sviluppo dei due protagonisti.
Un altro aspetto importante che emerge nei romanzi di Tolkien è la differenziazione tra i popoli che convivono nell‘universo da lui creato. Fatica ci spiega come il linguaggio ed il registro varino in base alle popolazioni descritte: dal tono rozzo e volgare attribuito agli orchi a quello elegante assunto dagli elfi , fino alla parlata campagnola degli hobbit. Inoltre un particolare personaggio è quello di Barbalbero, ispirato ad un caro amico dell‘autore, il celebre scrittore C. S. Lewis, sia per quanto riguarda la flessione della voce che i termini usati.
L’Associazione Italiana di Studi Tolkieniani ha rivestito un ruolo fondamentale nel processo di traduzione, come racconta Arduini: infatti Fatica è stato seguito passo dopo passo da un esperto della materia, Giampaolo Canzoniere, per guidare il traduttore nelle difficoltà più specifiche del libro e per rendere la nuova edizione più tolkeniana possibile.
Quest aiuto si è rivelato importante, tradurre Tolkien non è un compito semplice, come dimostrato dalle discussioni che hanno caratterizzato tutte le edizioni dell’autore, non solo in Italia ma anche ad esempio in Francia e Germania. Infatti, lo scrittore stesso ha creato una vera e propria guida alla nomenclatura, in modo che i termini non venissero erroneamente tradotti.
La fedeltà con la versione originale ha quindi una rilevanza assoluta. Questa fedeltà sta alla base di un rapporto complicato, quello che lega l’autore con il suo traduttore: Fatica sottolinea che la difficoltà della traduzione è proporzionale alla fama dello scrittore, e che un lavoro ben eseguito necessita di un confronto continuo con l’autore originale.
Talvolta un eccessiva fedeltà all’originale ha portato a delle critiche: Fatica spiega che gli arcaismi che gli vengono spesso contestati non sono una personale iniziativa bensì una scelta di aderenza ai termini del racconto originale. Inoltre, sono presenti nella saga alcune imprecisioni ad opera dello stesso Tolkien, che il traduttore ha dovuto decidere se correggere o lasciare invariate.
Ottavio Fatica, come molti altri, è un autore invisibile: il suo contributo è spesso dato per scontato e non è considerato influente, ignorando la difficoltà presenti nell’interpretazione di un’opera senza perderne la connotazione originale
Matteo Del Col, Valentina Nachira
Liceo M. Grigoletti, Pordenone
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