Andrea Bajani e i ragazzi di L’Europa a sedici anni dialogano con lo scrittore Alessandro Leogrande, vicedirettore del mensile <<Lo Straniero>>, in relazione al suo ultimo libro: Il Naufragio, edito da Feltrinelli nel 2011. La parola che parla di Europa e, in particolare, di migrazioni, è “stormo“. Bajani la introduce ricordando il lavoro svolto dai ragazzi del gruppo, sottolineando che la parola stormo spiega un concetto particolarmente astratto: vuole indicare i gruppi etnici che, all’interno dell’Europa, si muovono nel tentativo di formare un’unione stabile o quantomeno di trovare una momentanea sicurezza.

Nel suo libro, con l’ultimo intento di restituire alla vicenda ciò che i mass media le hanno tolto e di investigare su ciò che è realmente accaduto, Leogrande racconta ciò che accadde il 28 marzo 1997 nel canale d’Otranto: una piccola motovedetta albanese stracarica di immigrati, la Kater i Rades, venne speronata da una corvetta della Marina militare italiana, la Sibilla.  A causa di questa manovra di respingimento, l’imbarcazione affondò nella striscia di mare che separa l’Albania dalle coste pugliesi. Il naufragio causò 81 morti certi andandosi a classificare come una strage di stato;  una vicenda che è diventata volutamente torbida, oscurata da false testimonianze ed impunità, come spesso accade quando sono coinvolti i “pezzi grossi”. Leogrande ha voluto investigare in prima persona su ciò che accadde a quella nave e ai suoi passeggeri, fino ad arrivare a capire le motivazioni che spinsero quelle persone a diventare uno sfortunato stormo di migranti. All’epoca la Puglia era paragonabile alla Lampedusa di oggi: dopo la caduta del regime stalinista in Albania, veri e proprio “eventi biblici” avevano portato sulle coste italiane, in una sola volta, anche più di venti mila immigrati (come accaduto il 10 agosto del 1991). Leogrande, di origine pugliese, ricorda di aver vissuto il momento di apertura delle frontiere dopo la caduta del regime albanese in modo molto simile a quanto accadde per la caduta del muro di Berlino: un momento di vera e proprio “liberazione degli stormi”. Stormi, quelli albanesi, spesso costituiti da ragazzi molto giovani che, un bel giorno, avevano indossato il paio di scarpe “buono” e detto alla mamma di uscire per comprare la frutta, per poi imbarcarsi su navi che sarebbero diventate le loro tombe. Che cosa spingeva (e spinge) questi ragazzi a lasciare il proprio Paese, anche quando hanno tutta la vita davanti? Riferirsi ai motivi economici, come spesso avviene, è più che riduttivo. Parlando con le famiglie dei naufraghi e con i sopravvissuti, Leogrande ha affrontato anche questo tema . Ciò che spinge le masse, gli stormi, a “prendere il volo” è molto più profondo e, secondo lo scrittore, la parola “stormo” è l’unica in grado di esprimere appieno questa complessità, con incredibile forza poetica.

L’Italia, oggi, non rappresenta il punto di arrivo degli “stormi” ma solo un crocevia, un importante punto di passaggio per chi vuole raggiungere i Paesi del Nord e il loro sogno di felicità. Ma anche il nostro Paese vede partire un gran numero di migranti in questi ultimi anni (soprattutto giovani in cerca di maggiori possibilità): sempre più simile ad una “galleria del vento” (definizione data da Andrea Bajani), l’Italia si dimostra spesso incapace di fornire ai proprio cittadini un numero sufficiente di motivi per restare.

Prima di chiudere il suo intervento, Alessandro Leogrande si collega all’argomento della schiavitù, affrontato da Canfora a proposito della parola “magnete” nel precedente incontro di L’Europa a sedici anni: proprio dei “nuovi schiavi” delle piantagioni del meridione parla il suo libro Uomini e caporali (Mondadori, 2008) e riflette sul fatto che spesso i lavoratori provenienti dal’est Europa sono i più simili a veri e proprio schiavi poiché, a differenza di coloro che provengono da più lontano, essi conducono una sorta di “ping-pong” tra Paesi, favorito dall’Unione degli stati europei. Come Canfora, anche Leogrande afferma che, parte della base economica italiana è costituita da uomini che non hanno diritto di cittanza e di voto proprio come accadeva in Italia prima del 1910 (quando venne introdotto il suffragio universali e i “cafoni” poterono votare per la prima volta) e nell’antica Grecia. L’unico modo per migliorare  la condizione di questa parte della società e per realizzare l’utopia di uno “stormo europeo” in moto circolare e perpetuo all’interno di un’unione di Paesi è quello di rifarsi alle pagine scritte dalla storia classica e mettere in pratica ciò che da sempre è in grado di rendere dignitosa la vita di tutti gli uomini, in ogni angolo del mondo, da ogni punto di vista.

Micol Benini, Liceo Classico L. Ariosto