Sono contento di poter tornare a riprendere e riaffrontare le tematiche che hanno animato il dibattito di quattro giorni fa, giovedì 17 settembre, nel palazzo della provincia di Pordenone, quando si discuteva su come le tecnologie virtuali influenzassero i giovani e l’essere umano in generale. Il motivo per cui vi ritorno è che questi stessi temi sono stati oggetto del più recente incontro, tenutosi nel pomeriggio dello scorso sabato, al palazzo Montereale Mantica di Pordenone. Schierato a favore del virtuale, abbiamo trovato sempre l’instancabile epistemologo Stefano Moriggi a presentare, questa volta, il libro di Maurizio Ferraris ” Mobilitazione totale”, che ha dato il nome all’evento. Tutto il dialogo si apre con un breve racconto di Ferraris che, se ben analizzato, risulta subito piuttosto destabilizzante ed angosciante.
L’autore ci racconta di come si svegli spesso la notte, anche verso le tre, per rispondere a mail di lavoro appena sopraggiunte al suo cellulare accanto al letto. “Ma chi me lo fa fare?” domanda ironicamente al pubblico che si diverte. C’è poco da ridere però perché, soffermandosi un attimo a riflettere, è facile intuire la portata di questo fatto apparentemente molto banale, ma in realtà preoccupante. Ci si rende poco conto di quanto l’aumento delle tecniche di telecomunicazione abbia reso possibile ” l’essere raggiunti ” da chiunque in qualsiasi momento. Rispondere significa sottoporsi anche a problematiche che richiedono un alto grado di responsabilità. Una tecnologia sempre più invasiva e pervasiva, che si intrufola nella nostra vita quotidiana e ci rende schiavi del mezzo stesso. È curioso, nota Ferraris, osservare come l’uomo, anche se dominato da questo continuo bombardamento di informazioni e quesiti derivanti da televisione e social media, rimanga sostanzialmente inerte nella sua condizione di sottomissione preferendo, ad una rivoluzione dei suoi atteggiamenti, l’adattamento passivo.
Quindi l’uomo, come dice Rousseau, sembra veramente “ nascere libero e morire in catene ”. La condizione del “buon selvaggio” è rovinata, secondo il filosofo francese, dall’introduzione di innovazioni tecnologiche come l’agricoltura e la geometria (nata per misurare i campi), che hanno condotto l’uomo all’avarizia e alla dipendenza dal bene materiale. Bisogna chiedersi però, dice lo scrittore sostenuto da Moriggi, se lo stato naturale ed originale dell’uomo (se ne esiste uno) sia realmente quello della più completa libertà. L’uomo è, infatti, l’animale che più tardi si svincola dalla lunga educazione genitoriale per divenire completamente autonomo, ed è pertanto logico in quest’ottica, afferma Ferraris, che sia più probabile sviluppare una dipendenza. Secondo i relatori è addirittura complesso pensare ad una condizione umana completamente astrusa dall’oggetto tecnico che, invece, ci avrebbe accompagnati e distinti dagli animali nel corso di tutta la nostra storia. In effetti, secondo le più moderne teorie etologiche e sociologiche, la distinzione più netta che separa l’uomo dai primati, non è quella basata sulla visione Aristotelica di essere sociale e razionale, poiché anche gli animali sanno esserlo a modo loro, ma lo sviluppo della cosiddetta ” intenzionalità condivisa “. Una forma di collaborazione di individui umani volta ad aumentare la complessità e l’efficienza delle strutture sociali, proprio mediante lo sviluppo tecnologico e del diritto, cosa che manca totalmente alle altre specie. È il primo essere che è stato capace di adattare l’ambiente a se e conseguentemente, di evolvere in questi termini.
È pertanto sbagliato intendere l’attuale dipendenza dal virtuale come un fenomeno recente ed esclusivamente moderno, di alienazione. L’uomo ha infatti progredito talmente velocemente in termini tecnologici, da stravolgere costantemente l’intera realtà sociale ed economica che lo circondava, causando nuove necessità di adattamento ai sistemi che andavano via via formandosi. La tecnologia non è, dunque, alienazione dello spirito umano ma, semmai, manifestazione realistica del suo stato più attuale ed è in questi termini che va studiata attentamente. Si tratta di una vera rivoluzione copernicana quella introdotta da Ferraris, nella quale la ricerca sull’uomo per intendere lo sviluppo tecnologico, è sostituita da un’analisi degli strumenti presenti, come indicatori delle più recenti esigenze e caratteristiche del genere umano. Per comprendere realmente l’uomo, non bisogna agire come Rousseau separandolo dalla tecnologia, ma intuire analizzandole, le ragioni che lo hanno spinto ad inventarla e come con essa si rapporta per effettuare miglioramenti o correggere errori. Nel caso odierno ci si allontanerebbe maggiormente dalla reale essenza umana solo smettendo di utilizzare i mezzi virtuali e indicandoli pregiudizievolmente come strumenti aborrenti, senza capire la loro reale utilità. “Non è una questione di quanto” sottolinea Moriggi “ma di come; con che qualità si usano questi mezzi”. Anche Platone si era schierato contro la scrittura alfabetica perché alterava la maniera umana di ricordare e di approcciarsi all’altro. Eppure ha dovuto adattarsi scegliendo quella buona mediazione che lo ha reso famoso: il dialogo. “Se lo ha capito lui più di duemila anni fa”, continua, “perché noi non ci arriviamo ancora?”.
Forse la risposta risiede nell’enorme velocità dei moderni cambiamenti, che non da tempo a nessuno di capire correttamente come approcciarsi a questi nuovi e complessissimi strumenti. Difficoltà che impegna soprattutto le nuove generazioni, specie se mal accompagnate nel loro percorso educativo dall’ignoranza di chi proibisce insensatamente, così come di chi le lascia libere di fare senza alcuna attenzione. I ragazzi vanno seguiti costantemente, spiega Moriggi, e accompagnati nel loro percorso nella maniera più corretta e fruttuosa per loro. Aggiungo che forse è consigliabile insegnare loro anche delle buone e sane “distrazioni” dal virtuale, come il gioco all’aria aperta ed una libera e diretta socializzazione, non sempre quella mediata da uno schermo. Interagire con le tecnologie è giusto quindi, fino a che non ci si lascia assorbire completamente, senza più distinzione tra ciò che è macchina e ciò che è realtà esterna. Perché il rischio di una desensibilizzazione dell’essere umano effettivamente, e provi qualcuno a negarlo, è realmente presente se non si pongono, sempre, le necessarie attenzioni anche a conservare ciò che di buono ci deriva dal passato, come la trasmissione orale e generazionale di valori educativi. Perché tante volte sono la semplicità e la frugalità a mancare nell’odierna e sfrenata vita di tante realtà cittadine, senza contare gli interessi di chi, sulla tecnologia, ci specula senza coscienza o limite, contento ad aumentare la dipendenza dell’uomo dalla macchina che tanto gli fa fruttare. Cerchiamo dunque di non divenire schiavi di noi stessi, continuando a ripercorrere l’ errore dei nostri antenati, ma ricerchiamo la libertà nella convivenza più giusta e salutare con la macchina. Usiamo il più possibile l’intelligenza e l’autocoscienza critica, due nostri mezzi da sempre veri ed inalienabili.
Lorenzo Modena – Liceo Michelangelo Grigoletti di Pordenone 5^E
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