Cento anni dopo la Rivoluzione di Febbraio, Ezio Mauro, al Salone Internazionale del Libro di Torino, il 20 maggio ha raccontato la storia di due treni, che segnarono profondamente le vicende russe: il treno di Nicolaj II, imperatore e autocrate di tutte le Russie, e il treno tedesco che riportò Vladimir Il’ič Ul’janov, meglio conosciuto come Lenin, a Pietroburgo. A luci spente e con immagini della Russia del ’17 che scorrevano sullo sfondo, Mauro è stato capace di riportare in vita, come se stesse raccontando una favola, i personaggi di una Russia che era, ed è ancora, al centro dello scenario europeo e mondiale.
Tuttavia, per poter raccontare la storia del ’17, è necessario tornare indietro alla notte del 16 dicembre 1916: lanciandosi fuori da Palazzo Jusupov con un urlo, un uomo, già ferito da alcuni spari, cadde sulla neve. L’uomo era Grigorij Efimovič Rasputin, mistico, monaco e medico, a cui la Zarina Aleksandra Fëdorovna Romanova aveva affidato la vita del suo unico figlio maschio, Aleksej, affetto da emofilia. La morte di Rasputin, avvenuta per mano del principe Jusupov e dei suoi due cognati, Fëdor Aleksandrovič Romanov ed il principe Nikita, condannò la corte russa al caos, che già imperversava tra le strade di Pietrogrado, affamata dal freddo e dalla guerra.
Pochi mesi dopo, il 23 febbraio, secondo il calendario giuliano, l’8 marzo, secondo il calendario gregoriano, le operaie russe, ricordandosi che in quel giorno si sarebbe dovuta festeggiare la Giornata Internazionale della Donna, diedero inizio a uno sciopero che coinvolse anche socialisti e bolscevichi. Il giorno seguente le manifestazioni continuarono e, nonostante gli ordini, i cosacchi non caricarono la folla; Nicolaj II, senza capire la gravità delle proteste, lasciò la città. Compare in scena il primo treno: quello su cui Nicolaj II viaggiò per l’ultima volta come Zar e, soprattutto, il treno su cui firmò la sua abdicazione, prima a favore del fratello Michail, poi a favore del figlio Aleksej, di soli tredici anni, che non divenne mai Zar.
La notizia della rivoluzione giunse infine anche in Europa, a Zurigo, dove Lenin viveva in esilio insieme alla moglie: contrariato per il fatto che la notizia di una rivoluzione in Russia, il suo paese, da cui era stato esiliato e a cui non aveva mai smesso di pensare, l’avesse raggiunto attraverso i giornali, Lenin decise di tornare a Pietrogrado per poter intervenire di persona. Tuttavia, la situazione internazionale era complessa: la Francia e l’Inghilterra volevano impedire il suo ritorno, la Germania, invece, favorirlo, sperando che i disordini sociali avrebbero indebolito la Russia. Ma la Germania era il nemico e accettare l’appoggio dei tedeschi avrebbe significato, una volta raggiunta Pietrogrado, il rischio di una condanna per tradimento. Lenin, non trovando altre soluzioni, accettò il patto dei tedeschi, decidendo, però, che non avrebbe avuto alcun contatto con loro durante il viaggio: nacque così la leggenda del treno piombato, che trasportò Lenin da Zurigo fino a Stoccolma, dove proseguì il viaggio via mare. Dopo sette giorni e sette notti, Lenin, con il cappello da operaio i testa, tornò a Pietrogrado.
I due treni, procedendo in parallelo, raggiunsero la stessa destinazione: la Rivoluzione Russa.
Chiara Tarulli
Liceo Vittorio Alfieri
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