In occasione dell’evento Portici di Carta lo scrittore Andrés Neuman ha presentato il suo nuovo libro “Fratture” all’oratorio San Filippo di Torino. Il romanzo si snoda toccando svariati temi, e la figura del protagonista del gioco dell’autore è delineata dalla narrazione di quattro donne che hanno rappresentato le diverse fasi della sua vita amorosa; esse rappresentano diversi ritratti e descrivono la figura dell’uomo da diverse angolature. La storia abbraccia un arco temporale che spazia dalle bombe sganciate nel 1945 dagli Americani su Hiroshima e Nagasaki sino al terremoto che nel 2011 ha devastato Fukushima. Le quattro storie rappresentano quattro epoche storiche differenti e insieme le quattro stagioni dell’amore: con le prime esperienze l’amore non ha passato, nelle seguenti si è consci della possibilità di una rottura; giunge poi l’amore dei fantasmi, in cui si vive in una casa non propria convivendo con il passato di qualcun altro. Infine, si crede che l’amore sia qualcosa di appartenente al passato, e lo si lascia andare con naturale rassegnazione.
La scelta di immedesimarsi in un mondo tutto al femminile proviene dall’idea che la narrazione sia utile a sperimentare qualcosa che non siamo e che insieme ha effetto sulla nostra identità più profonda: narrazione e viaggi sono l’unico mezzo per trascendere i nostri limiti.
L’uomo, segnato da molteplici cicatrici, non sa come mostrarle alle persone con cui si relaziona e tenta diversi approcci: inizialmente tenta di nasconderle, provocando il sospetto della donna amata; decide allora di parlarne subito con la persona seguente, ma crea disagio e viene respinto; scopre poi che esiste anche chi fa più domande del dovuto o chi preferisce porre il passato in una parentesi, mirando solo al futuro. In questo stesso modo anche le generazioni reduci da tragedie hanno difficoltà nel raccontare o nel trovare l’approccio giusto e l’unico modo per aprirsi, insegna l’autore, è la narrativa. Si è poi parlato della traduzione come metafora dell’amore: due persone infatuate sperano di comprendersi sempre e di usare lo stesso linguaggio; parlare una stessa lingua però porta con sé malintesi non meno che una lingua differente dalla propria; se è vero che traducendo qualcosa si perde, è anche molta la ricchezza che si ottiene.
La lingua unisce i lembi della pelle lesa, e le cicatrici che si formano danno valore a noi stessi, rendendoci unici. Il kintsugi è una tradizione che insegna ad amare le proprie ferite: ogni ceramica che si rompa viene riparata, e i suoi pezzi uniti con il filo dorato; per questo l’oggetto rotto vale più di quello integro.
Elena Primiceri, Marta Atzei
Nessun commento
Non ci sono ancora commenti, ma tu potresti essere il primo a scriverne uno.