Ci troviamo al Goethe Institut, istituto di cultura tedesca che, in collaborazione con la Fiera del Libro di Francoforte e il Salone del Libro di Torino, oggi ospita il musicologo Giorgio Pestelli. L’occasione è un anniversario, che ci rimanda non a caso in Germania: settantacinque anni fa, infatti, la Filarmonica di Berlino suonava per la prima volta la nona sinfonia di Beethoven diretta da Wilhelm Furtwangler.
In un assaggio del suo libro “Il genio di Beethoven”, che contiene indicazioni su tutte e quante le nove sinfonie, Pestelli ci fornisce quindi una disamina profonda e accurata dell’ultima, con un discorso molto tecnico, ma arricchito da note intonate da lui stesso al pianoforte o da stralci dell’orchestra, tratti da un disco inciso durante una delle ultime esecuzioni dirette da Furtwangler.
L’inizio che parte da lontano e poi si concretizza nello scherzo, l’atmosfera sognante dell’adagio e infine la ripresa dei vari temi sul finale, con un’originale struttura narrativa. Il musicologo commenta ogni passaggio con minuzia, ma mette in particolare rilievo il carattere tetro e oscuro ricorrente in tutti e quattro i movimenti, e ricorda che solo alla fine, uscendo timidamente dal buio, come luce che sovrasta a poco a poco le tenebre, inizia la famosa melodia: l’ “Inno alla gioia”.
È un effetto che Beethoven ricerca per far meglio comprendere il contenuto di pace e armonia tra popoli che vuole trasmettere, traducendo in musica l’omonima poesia di Schiller, che l’aveva molto affascinato. Con questo significato, in rappresentanza della concordia, questo frammento di sinfonia è arrivat fino ai giorni nostri, e in questi termini è stato accolto come inno ufficiale dall’Unioje Europea.
Oltre al commentosulla sinfonia, Pestelli ricorda anche la grande personalità di Furtwangler: “Teneva in gran considerazione il fraseggio piuttosto che il suono, […] lasciava che i violini tendessero quasi al portamento, che fossero espressivi al massimo grado; […] non apprezzava i virtuosismi, che mettono in risalto i frammenti, ma aveva una visione unitaria della composizione, tale per cui insieme alla prima nota doveva sentirsi già quasi l’ultima.”
Queste sono solo alcune delle parole, pillole sparse in mezzo al discorso generale, con cui lo studioso delinea lo stile del brillante direttore, che cercava di riflettere in pratica quelle che sulla carta dovevano forse essere le intenzioni del compositore stesso.
Liceo Classico e Musicale Cavour
Chiara Sapia e Virginia Rocco
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