Si è tenuto all’interno della Sala Bianca, nell’ultima giornata del Salone, l’evento “Sulla nostra pelle” che vede, come protagonisti il tatuatore Andrea Afferni, il professore Paolo Macchia e l’esperta di tatuaggi Maria Elisa Nannizzi.

Inizialmente, il prof. Macchia racconta l’origine di quelli che sono adesso i tatuaggi: essi, sin dall’antichità, sono stati utilizzati come stigmi per marchiare gli schiavi fuggitivi, per poi passare come simbolo di élite (regnanti e zar) e, in seguito, come marchi per riconoscere gli ebrei durante la Shoah, fino ad arrivare agli anni ’60 (annata rivoluzionaria, per esprimere il disagio nei confronti della guerra).

Tutt’oggi, invece, i tatuaggi sono visti come una libertà di espressione, parte della nostra identità con lo scopo di descrivere quest’ultima: infatti, secondo alcune stime, le persone tatuate in Italia rappresentano il 12,8% della popolazione.

Dopodiché, la parola passa al tatuatore Afferni: lui, proprio perché reputa quest’arte libera di espressione, non sta a dare un giudizio alla scelta del tatuaggio da parte del cliente, poiché è un qualcosa di intimo nonostante, nel corso della sua esperienza, è stato lasciato libero di esprimersi. Proprio quest’ultima cosa, rende felice Afferni poiché il cliente mette a disposizione il suo corpo (come se fosse una tela) e, permettendo al tatuatore di esprimere la propria creatività, gli riconosce la fiducia più assoluta: viene, così, eliminato lo stereotipo del tatuatore (e del tatuato) criminale e “drogato” ma, addirittura, viene visto come un lavoro interessante.

Non mancano, però, i “pentiti”, cioè coloro che hanno avuto rimpianti nel farsi fare un tatuaggio e che sono, in seguito, ricorsi a diversi interventi: tutto ciò, divenuto un business vero e proprio in America, conta circa 80o milioni di dollari di fatturato.

Dopodiché, a prendere il discorso, è l’ esperta Nannizzi: ella ripercorre l’incontro avvenuto tra l’Europa ed il tatuaggio in seguito alla scoperta di terre, come la Nuova Zelanda e la Polinesia, da parte di James Cook. Infatti, i primi e veri “tatuati” sono stati i Maori; questi ultimi, però, non attribuiscono al tatuaggio il significato che l’uomo odierno gli conferisce: per un maori, difatti, il tatuaggio ha una parte sociale ed una individuale, che narra la storia vera e propria di colui che li possiede (famiglia, lavoro, classe sociale e firma).

Infine, alla domanda “Hai mai provato a dissuadere qualcuno a non fare un tatuaggio?”, Andrea Afferni risponde così:

“Ho solo pensato di farlo, soprattutto nel caso in cui si è trattato di un minorenne, ma mai e poi mai mi permetterei di far cambiare opinione ad un mio cliente: io non sono nessuno per poter giudicare e, ribadisco nuovamente, il tatuaggio rimane e rimarrà una libertà di espressione e qualcosa di intimo.”

 

Samuel Kapllanaj e Leonardo Perdomo, Liceo scientifico A. Volta