Il primo appuntamento, come l’incipit di un libro o il decollo di un aereo, è un momento delicato. Perché è proprio lì che si decide gran parte di quel che accadrà dopo: decidere di rivedersi o meno, lasciarsi catturare dalla lettura o passare ad altro, vincere la forza di gravità e attraversare le nuvole oppure… beh, a questo è meglio non pensarci.

Per fortuna il 17 aprile non c’era nulla di drammatico in ballo: stavo per incontrare i ragazzi della terza C dell’Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Verzuolo (CN) per la prima volta. Eppure – mentre cercavo di orientarmi tra le vie del centro di Saluzzo – continuavo a mordicchiarmi il labbro inferiore, come faccio quando voglio sfogare, o almeno nascondere, l’elettricità per qualcosa che mi aspetta.

In questi anni di incontri nelle scuole, credo di aver imparato almeno una cosa a proposito dei ragazzi: a differenza di noi adulti, sempre pronti a nasconderci dietro maschere di opportunità o convenienza, se non vai loro a genio, non si fanno problemi a fartelo capire. Forte e chiaro. E visto che raramente facendo questo lavoro abbiamo l’opportunità di passare con la stessa classe più delle due ore degli incontri canonici – ecco – se proprio ora non fosse scattata quella scintilla, sarebbe stato un peccato. Un grosso peccato. Arrivato davanti a La luna e i falò, l’attiva e colorata libreria indipendente dov’era in programma l’incontro, ho tratto un lungo sospiro. E sono entrato.

I ragazzi mi aspettavano già schierati, nella saletta al primo piano dedicata agli incontri. Mentre prendevo posto anch’io, di sottecchi mi hanno scannerizzato con attenzione. Le facce serie. Immobili. In assoluto silenzio. E io ho fatto altrettanto. Come nei film western, quando i cowboy si studiano prima di estrarre le pistole. Il tutto però è durato pochi secondi. Perché appena ho intercettato un mezzo sorriso che spingeva per fare capolino dalla seconda fila, poi un secondo dalla prima, infine un terzo nell’ultima, allora ho lasciato uscire il mio. E da quel momento, siamo stati risucchiati in una chiacchiera di due ore piene, filate via veloci e leggere come tornanti in discesa per un gruppo di ciclisti.

Il merito è stato tutto loro, che si erano preparati un bel po’ di domande su di me, su Berlin, su come si scrive una storia, come-quando-e-perché ho iniziato. Anche a costo di snocciolare alcuni tragicomici aneddoti – che spero abbiano già dimenticato – a me non è rimasto che cercare di soddisfare ogni curiosità. Dalle mie serie Tv preferite ai libri che amavo da ragazzo; dal luogo della casa dove scrivo alla musica che ascolto quando lavoro. Esaurito il tempo a nostra disposizione, prima di salutarci ho accennato a quello che avevo pensato per le prossime volte.

Dal momento che avranno la pazienza di sopportarmi per altre due mattinate, il minimo era immaginare qualcosa da costruire insieme ma che potessero poi tenere con sé e utilizzare anche dopo il Salone. Come una specie di regalo. Me ne sono venuti in mente due. Uno a incontro.

Il primo sarà un’immaginaria cassetta degli attrezzi da scrittore. Niente di troppo sofisticato, giusto gli arnesi indispensabili per chi volesse mettersi alla prova e scrivere una storia. Dall’idea iniziale all’incipit, da come affrontare i dialoghi alle descrizioni.

Il secondo invece si tratterà di un piccolo elenco di libri, scelti non in base a ciò che in generale dovrebbero leggere, ma per quello che ognuno di loro cerca in una storia. Nient’altro che qualche consiglio su misura. Che poi, sono quelli che ci calzano sempre meglio.

Marco Magnone

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