In questa sezione trovate tutti gli articoli relativi al progetto che lo scrittore  torinese Andrea Bajani ha realizzato per il Salone del Libro nel 2014.  Questa sezione del blog contiene sia gli articoli preparatori al progetto sia il resoconto del Salone del Libro 2014 a maggio. Il progetto 2014  è stato dedicato all’Europa.

Interrogarsi sull’Europa nel contesto del Bookstock Village, significa farlo da un osservatorio linguistico privilegiato. Nell’immaginario, non solo giovanile, l’Europa è un luogo fatto di sole parole: ovvero una realtà di cui si sente parlare, a proposito della quale si leggono titoli sui giornali, ma che in qualche modo si affaccia come un contenitore vuoto. Latore di rimedi dolorosi (“Ce lo chiede l’Europa”), bandiera di appartenenza in epoca di solitudini atomistiche (“Siamo in Europa”), per lo più l’Europa è un fondale vacuo che suscita poco interesse, men che meno a sedici anni.

Quello su cui ci si propone di lavorare quest’anno è tentare di sondare, attraverso i depositi linguistici, che cosa c’è dietro quel cumulo di parole rovesciate nei discorsi e sui giornali. Ovvero: passare dall’Europa delle parole – nell’accezione del chiacchiericcio – all’Europa delle parole, nell’accezione linguistica: quali sono le parole che oggi la costituiscono? Di quante parole è fatta, e dunque di quali concretezze (memoriali, culturali, di immaginario) l’Europa di un sedicenne?

Negli anni 2011-2013 il Bookstock Village è stato il teatro di una piccola significativa rivoluzione, nella fascia di età delle scuole superiori. Ha smesso di essere un contenitore di attività destinate al pubblico tra i 14 e i 18 anni, per trasformarsi in un laboratorio di immaginario e in un osservatorio linguistico sulle trasformazioni dell’Italia contemporanea. Le parole, come era naturale dato il contesto, sono stato lo strumento più diretto. Di quali parole, di quale pasta è fatto il tempo che i ragazzi attraversano? Bombardati quotidianamente di linguaggio, manipolatori essi stessi di parole, ai ragazzi manca troppo spesso – o si offre troppo raramente – l’ascolto, la disamina, l’interrogazione ragionata di un vocabolario attraverso cui prende forma, più o meno consapevolmente, il loro e il nostro mondo.

Prima è stata la scelta di parole significative, simboliche, quindi, nelle due più recenti edizioni, l’invenzione di neologismi, ovvero di evidenziatori di novità sociologiche, percettive, politiche in atto. Il progetto ha avuto grande evidenza mediatica, il che conforta non tanto per il palcoscenico, quanto per via del riconoscimento dell’utilità dello strumento. Lungi dall’esaurisi nel gioco linguistico, ha rappresentato il significativo contributo di una generazione (troppo spesso usata solo per ritratti a perdere) alla vita attiva di un Paese.