Daniel Kehlmann nel suo libro racconta la storia di Tyll Ulenspiegel, nato nel Nord della Germania poco prima dello scoppio della guerra dei Trent’anni (Diciassettesimo secolo). Dopo la morte sul rogo di suo padre, Tyll, ancora bambino, è costretto a scappare, iniziando così una vita da funambolo vagante. La sua personalità giocosa e irriverente gli permette, nonostante le numerose difficoltà del tempo, di sopravvivere e di venire a contatto con i grandi esponenti di quell’epoca, come il dottor Fleming che scriveva poesie in tedesco, lingua ancora non formata, Athanasius Kircher, gesuita alla ricerca di un drago con il cui sangue vuole creare una medicina contro la peste, la regina di Boemia, Wallenstein e il re di Svezia Gustav Albert Wasa.
Lo scrittore, durante la conferenza, ha spiegato che una delle caratteristiche di quel tempo era la staticità, sia di movimento che di interazione tra diverse classi sociali. La figura del “vagante”, scelta da Kehlmann come protagonista, rompe entrambi gli schemi; infatti al contrario della gente comune del tempo, che spesso moriva dove nasceva, si spostava in continuazione e veniva a contatto con persone di diverso ceto sociale. Con questa introduzione ha voluto evidenziare alcuni elementi di diversità rispetto alla nostra epoca, come quello della libertà; la vita era meno libera ma al tempo stesso si poteva fuggire in ogni momento poiché non c’erano documenti e le identità erano molto più fluide in quanto le persone non avevano nomi definitivi. Emblema di questa particolare libertà è lo stesso Tyll che, con la sua sfacciataggine, va in giro per le piazze dicendo tutto ciò che pensa e in alcuni casi mettendo anche in discussione il potere; atteggiamento che può recargli anche svantaggi e momenti di crisi.
Questa indipendenza non si riscontrava però dal punto di vista spirituale in quanto non c’era una possibilità di scelta religiosa e l’ateismo non era contemplato.
Kehlmann spiega di essersi voluto immedesimare nei personaggi sia dal punto di vista psicologico che da quello fisico. Egli afferma che non avrebbe mai voluto vivere in quel mondo, ma che comunque ci teneva a descrivere tutti i suoi orrori, dolori e malattie. Quello però non era un periodo solo buio, ma anche di fermentazione culturale sia dal punto di vista musicale che letterario.
Considerando che le opere su questo periodo storico possono essere molto difficili da leggere e caotiche, l’autore vuole che il personaggio del saltimbanco sia per il lettore una sorta di guida turistica in questa realtà pre-moderna; non volendolo però creare ex novo decide di utilizzare la figura fittizia, legata alla tradizione germanica, di Tyll Ulenspiegel, che si trova in vari aneddoti che lui unì nella storia.
Tyll é colui che riesce a correggere, tramite la sua leggerezza giovanile e buffonaggine, la tragicità del mondo, che si manifesta in alcune scene del libro. Uno dei più toccanti è l’episodio del “cunicolo” in cui alcuni soldati, tra cui Tyll, cercano di sopravvivere durante l’agonia della guerra; egli dimostra la sua volontà di sopravvivere nel suo rifiuto di accettare quel destino drammatico.
“Io non muoio quaggiù; io oggi non muoio; io non muoio.”
Questa frase emblematica dimostra sia la capacità del personaggio di trovare sempre un modo di fuggire alle difficoltà, sia l’immortalità della sua leggenda.
L’autore racconta che una volta terminato il racconto si impadronì di lui una sensazione malinconica, quasi come se Tyll Ulenspiegel l’avesse abbandonato e se ne fosse ritornato per la sua strada, forse dirigendosi verso altri scrittori.
Caterina Marchini e Serena Conte, Liceo V. Alfieri
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