Il 28 aprile alla Cavallerizza Reale si è tenuto un appassionante incontro con la scrittrice Svetlana Aleksievic, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nell’ottobre 2015. Un’anticipazione del Salone del Libro con la sua #primaveratorinese. La conferenza svoltasi nell’aula magna della struttura davanti a una gremita platea, è stata condotta dall’insigne figura di Goffredo Fofi che insieme a Svetlana e all’aiuto di un’interprete ben preparata, ha cercato di mettere in luce i tratti salienti dell’opera della scrittrice.

L’autrice bielorussa, nata nel 1948, ha spesso parlato del male nei suoi libri, sempre alla ricerca del nuovo volto che esso assumeva di volta in volta. Svetlana ha scritto delle mostruosità della guerra, dei disastri di Chernobyl e dei morti suicidi disillusi dall’utopia comunista, assumendo sempre il punto di vista di coloro che ella definisce “persone piccole” come donne, giovani e vecchi cui ha dato la voce che spesso viene loro preclusa nei grandi eventi della storia. Le sue opere affrontano a viso aperto le atrocità della storia, senza risparmiare il lettore da immagini potenti quanto crudeli e amare come l’operazione di “sotterrare la terra” radioattiva dopo l’esplosione del reattore 4 a Chernobyl. La sua abitudine ad affrontare la storia dal punto di vista della gente comune affonda le radici nell’insegnamento di grandi maestri russi quali Tolstoj e Dostoevskij, ma, come aggiunge la scrittrice, tutto è iniziato durante la sua infanzia.

Svetlana è cresciuta in un villaggio di campagna e, oltre l’eccezionale disponibilità di libri in casa sua, ha da sempre manifestato un forte interesse per ciò che accadeva in strada. Lì infatti si riunivano nel dopoguerra le giovani donne del paese, in gran parte già vedove, che ricordavano gli ultimi momenti felici passati con i rispettivi mariti o le occasioni in cui li avevano conosciuti. Svetlana era rimasta colpita dall’assenza di carri armati o fucili nei loro racconti, i quali anzichè essere pieni di imprecazioni e odio suonavano quasi come canti di speranza e amore. L’ascolto di queste donne ha scosso profondamente il cuore e l’anima della scrittrice che ritiene questa pratica un vero e proprio “vaccino d’amore” che le ha permesso di crescere e affrontare la vita e poi di scrivere una storia di sentimenti, prima che di guerra o atrocità. L’autrice ammette di essersi resa conto della responsabilità della sua opera solo dopo il secondo libro, la scrittura di questi racconti pregni dei più intimi segreti e vicissitudini di persone reali talvolta risulta un tormento ma ella sa di non poterne fare a meno perchè si tratta storie che non possono essere ignorate. La veridicità che ella impiega in ogni sua opera è una delle ragioni per cui la stesura dei suoi lavori richiede dai sette ai dieci anni, in quanto la raccolta di dati è un processo lungo che può essere profittevole solo se i suoi interlocutori si sentono liberi di raccontare mettendo da parte le influenze dei mass media o il peso che grava su chi vive sotto un regime come quello dell’ URSS comunista. L’attenzione che la scrittrice dimostra verso il prossimo va ben oltre l’umano sentimento di curiosità, essa è una commistione di amore, generosità e compassione, uno slancio quasi “evangelico” sostiene Goffredo Fofi ripensando alle parole sulla carità di San Paolo. Questo atteggiamento che rifugge totalmente l’ipocrisia si riflette nei suoi racconti che mostrano un mondo vero e vivo, con le sue brutture e le sue bellezze.

L’autrice, prima di concedersi al pubblico per fotografie e autografi delle opere, risponde all’ultima domanda di Goffredo Fofi in merito a cosa resti all’uomo dopo la guerra;  ella afferma con assoluta sicurezza che nell’uomo rimane l’amore, quel sentimento sincero che lei stessa ha più volte sperimentato fin da bambina con l’ascolto delle storie dei sopravvissuti alle atrocità della storia, e, insieme a esso, la parola che sopravvivendo a tutto e a tutti è capace di muovere al pianto l’animo umano messo di fronte alle mostruosità della guerra e di farlo così ragionare e riflettere sulle brutture commesse. Tra sonori applausi Svetlana Aleksievic conclude con questa frase: “Il lavoro degli scrittori è una missione, essi hanno l’obiettivo, forse ingenuo, di aiutare l’essere umano”.

Matteo Zangheri, Liceo classico-musicale Cavour