“Come un equilibrista tra il rosa e il celeste…” La prima frase davvero significativa di un incontro che si è rivelato una vera esplorazione dell’identità di genere. Bisogna iniziare, spiegano le relatrici, riflettendo sul linguaggio e la terminologia con cui le persone transgender sono inquadrate. Il linguaggio, che fin dall’infanzia trasmette dei modelli da seguire o da fuggire sulla base del proprio sesso, non corrisponde minimamente alle sottigliezze e alle sfaccettature della propria sessualità. Nonostante sia stato aggiornato con la pretesa di garantire ai trans un’ adeguata identità, il linguaggio tende a deumanizzare questi soggetti, non tenendo conto della complessità delle numerose realtà personali e identificandoli come persone in confusione e semplicemente in transito da un sesso all’altro.

E’ proprio in questa “fase” di incertezza che le relatrici dell’incontro “L’arte di essere se stessi” raccontano di essersi trovate e di non esserne state schiacciate se non grazie alle scrittura. La scrittura, dunque, come forma di evasione, attraverso la quale si ha la possibilità di riflettere a stretto contatto con la propria intimità, cercando di non fare riferimento, cosa peraltro difficile, alla terminologia coniata dalla società dichiaratamente eterosessuale. Spiegano le relatrici che i tentativi di integrazione della comunità omosessuale e transessuale hanno costituito sin da principio forme grossolane e superficiali di studio scientifico: è la scienza ad aver imposto i termini di “analisi” della sessualità. L’individuo sente la necessità di emanciparsi da queste categorizzazioni ghettizzanti e limitanti e, quindi, fare rete per sistematicizzare la lotta per avere una certa rilevanza politica -nonostante l’indifferenza di alcuni “compagni” progressisti- contro le idee e le politiche conservatrici che vengono attuate sulla loro pelle.

La battaglia della comunità omosessuale e transessuale acquista una dimensione politica. E’ una lotta per il riconoscimento, non solo formale, ma anche nei fatti, dei propri diritti e della propria posizione sociale. E’ necessario che questa sia una battaglia di tutti, sentita come propria da tutti; se così fosse, essa interverrebbe anche sulla consapevolezza sessuale della comunità eterossuale, ampliando gli orizzonti e stravolgendo le prospettive. In conclusione: bisogna  in primo luogo evitare di plasmare la forma mentis dei bambini e abbattere gli schemi culturali del binarismo identitario del “rosa-celeste”; occorre poi riflettere privatamente  e collettivamente sulla complessità sessuale e psicologica di ognuno di noi.

Liceo Ariosto, Ferrara

Casari Francesco, Pasqualini Fabrizio