Venerdì 11 maggio, in Sala Gialla, per la presentazione del libro Lui, io, noi scritto da Dori Ghezzi, si è riunito un gruppo d’eccezione per raccontare e ricordare Fabrizio De Andrè. Oltre alla scrittrice erano presenti anche Roberto Vecchioni e Gabriele Salvatores. Entrambi hanno avuto la fortuna di conoscerlo: il primo era un suo caro amico, mentre il secondo ha girato uno dei suoi video nel 1990.
L’incontro è cominciato con una lettura presa dal libro di Valentina Bellè, l’attrice che interpreta Dori nel film “Il principe libero”. Guarda qui la sua intervista
Subito dopo è intervenuto Giordano Meacci, uno dei coautori del libro insieme a Francesca Serafini.
Lui, io, noi è un libro sulla memoria, dove non c’è il culto della personalità e che nasce da una memoria condivisa.
Gabriele Salvatores, presa la parola, ha raccontato di come ritenga De Andrè uno degli angeli custodi che l’ha guidato e lo guida fino a qui. È uno di quelli che l’ha aiutato a non diventare un avvocato. Anche lui si sofferma sull’importanza del titolo del libro. È fondamentale per il sentimento che c’è sotto. In quegli anni, il “noi” era molto, molto importante. Ha poi continuato dicendo: “Rispetto ad adesso, che facciamo finta di condividere su tutti i social, in quegli anni realmente ci si dava una mano. È bello che in questi anni difficili che stiamo vivendo, questo concetto di condivisione sia vivo. Dori la conosco ma il libro me ne ha dato una visione estremamente diversa, perché il libro è una storia d’amore che mi ha commosso.
Fabrizio è stato un pifferaio che si è tirato dietro tutta una generazione di persone che credono ancora che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori“.
Roberto Vecchioni ha continuato dicendo “Questa è una giornata in cui dobbiamo capire che cosa aveva dentro. Fabrizio aveva la stessa capacità di un poeta, ovvero quella di essere sempre incerto di se stesso e avere dubbi su stesso. Un poeta è sempre un po’ oltre le righe. Va sopra, esalta e idealizza. Nelle metafore tenta di trovare l’oro. Sa di avere arrangiato le cose alla sua maniera e non esiste un poeta che scrive perfettamente la verità che ha dentro. Il senso fondamentale della poesia è la sensazione, non il capire. Noi tutti, ascoltando le canzoni di De André, le sentiamo in maniera diversa. Questo è il segreto che hanno colto Dori, Francesca e Giordano per poter scrivere il libro. Per De André la donna vive ed è nata per dare ordine ai valori, tranquillizza e rassicura. Queste sono parole che lui usa su tutte le donne che canta e tutte queste vanno a finire in Maria, che è ovviamente Dori. Lei è la sintesi di tutte le persone che lui ha vissuto. Dori è fondamentale: non è solo la figura che sta a fianco di De André, ma è quella che conta più di tutto. La grandezza di queste donne che descrive, che sono tutte prese dalla tragedia e dalla cultura greca. Lui comunque era riservatissimo a parlare d’amore e a metterci in mezzo Dori. Non parlava d’amore, ma questo usciva dalle sue parole. L’amore per Dori è sempre stato un amore tra le parole e tra le righe. Perché era un gentiluomo e perché era un uomo.
Ciò che rimpiango di più è che il suo viaggio non sia stato più lungo e avrei augurato a tutti che fosse così. De André è la più grande ingiustizia culturale del ‘900. È l’uomo che più di tutti meritava il premio Nobel.
Fabrizio ha due personalità: il maestro cantore è quella del demiurgo, una sorta di farfallone, che non ha più niente della sicurezza del saggio. E per questo è umano. Congiunge queste sue cose.
Penso che Fabrizio fosse pigro per natura e per posizione, proprio come le lettere del greco antico e alla stessa maniera, lui era compositore per natura e posizione. Quando la posizione interferisce sulla natura, avvengono cose strane, fantastiche.”
Dori Ghezzi è poi intervenuta prima della conclusione dell’incontro: “In realtà, molto spesso mi ritrovo a fare la parte di quella che consola gli altri nella vita. Ancora oggi. E tuttavia, sento che devo ringraziare queste persone. All’inizio, nei primi anni, mi è stato difficile pensare di continuare a vivere e siete stati voi che me l’avete fatto capire, parlandone. E questo mi ha insegnato a continuare a vivere con Fabrizio. Il noi del titolo, infatti, è determinante. Senza questo noi, nè Fabrizio, nè Dori esisterebbero.
Nel libro però, non c’è tutto, non ho raccontato ogni cosa. Anche perché è giusto che esistano due vite parallele: una parte pubblica e una che continua a rimanere privata, anche se magari non esiste realmente”.
Per concludere l’incontro, Roberto Vecchioni ha cantato due canzoni di Fabrizio De Andrè, ed è stato davvero commovente ed emozionante.
Camilla Brumat
Nessun commento
Non ci sono ancora commenti, ma tu potresti essere il primo a scriverne uno.