Oggi 19 maggio, al Salone del Libro di Torino, si è tenuto l’incontro “Dal Regno Unito a Hollywood, raccontare con leggerezza” in cui l’ospite John Niven è stato intervistato da Paola e Flavio Soriga.
John Niven non è un autore che va di moda, ma è un cosiddetto long seller, che conquista i suoi lettori grazie alle sue parole e al passaparola.
In Italia lo pubblica Einaudi e sono usciti già 3 suoi libri: Maschio Bianco Etero, A Volte Ritorno e Le Solite Sospette.
I libri di John Niven sono comici, ci sono scene esilaranti che quando lette fanno scoppiare a ridere il lettore da solo.
L’autore è di norma solito scrivere di personaggi maschili, molto forti e pungenti, ma nell’ultimo libro uscito (Le Solite Sospette), le protagoniste sono delle signore diciamo grandi, di una certa età, che nonostante si conoscano da tutta la vita, hanno ancora la capacità di sorprendersi l’una con l’altra. Niven racconta che l’idea dietro questo libro è stata quella di pensare a qualcuno che ha 60 anni. Chi ha questa età ha conosciuto il mondo, ha espressioni molto grafiche e oneste e per lo scrittore è stato gratificante che molte persone si siano riconosciute nei discorsi dei personaggi del libro. Ha pensato a una versione femminile di se stesso, di quando aveva 15 anni.
Quando scrive, una tecnica che usa spessa consiste nel creare i personaggi, farli parlare tra di loro e pian piano farli crescere. Bisogna fare in modo che i propri personaggi facciano qualcosa, anche delle stupidaggini, è l’unico modo per cercare di andare avanti. Per Le Solite Sospette ha proprio fatto così: ha costruito due personaggi che potessero incrociarsi e ha fatto in modo che potesse esserci un punto di incontro tra le due.
In A Volte Ritorno, il protagonista è invece Gesù Cristo che è effettivamente un personaggio molto strano, che fuma erba e fonda una comunità di hippie. Per scriverlo Niven ha semplicemente pensato a un attore americano. Inizialmente il libro sarebbe dovuto essere la sceneggiatura di un film, ma solo dopo 70 pagine, Niven si è reso contro che nessuno sarebbe riuscito realizzarlo e sarebbe stata una cosa super blasfema. Pensare a un Gesù cristo stonato che vuole amare tutto, è un’idea molto forte, per cui ha poi cambiato idea e ne ha fatto un libro.
John Niven per molti anni ha lavorato a Hollywood come sceneggiatore, per cui si è soffermato a lungo a parlare delle differenze tra i due tipi di scritture. Quando si scrive un libro c’è un impatto fisico sui personaggi. Scrivere sceneggiature significa interagire con gli attori invece di scrivere direttamente per loro.
Prima di scrivere romanzi scriveva sceneggiature e in quel mondo, in genere ogni 10000 sceneggiature scritte, 500 vengono scelte e 2 diventano film. Dice di essere stato fortunato e l’ha definito come un lavoro da prostituta, perché si è al servizio degli studios. Come scrittore invece, si è sempre immedesimanto in un investigatore privato, che nel suo studio lavora e agisce. È complicatissimo, è un incubo: bisogna condividere con le persone, capire come sono e cercare di capire cosa vogliono.
Scrivere una sceneggiatura è un lavoro che ti prende per un paio di settimane, un libro invece, ti rovina la vita per due anni. Il romanzo è considerato dal lettore come un oggetto d’arte. Non ci si sente Joyce a scrivere sceneggiature. Un paio di anni fa hanno fatto un film, definito pessimo da Niven, tratto da una sua sceneggiatura, e l’unica scena bella era quella tratta realmente dalla sceneggiatura e il pubblico ha avuto una reazione pazzesca. Ed è questo il coinvolgimento che uno scrittore vorrebbe avere dal pubblico. E dovrebbe essere sempre così, ma ci sono troppe interferenze nel cinema, perché si impegnano grossi budget. Tutto dipende dal box Office.
Per Niven lavorare da soli è un tema importante, si capisce ed emerge molto anche in Maschio Bianco Eterno. A parte la forza straordinaria dello scrittore, torna spesso quest’idea dello scrivere come un lavoro, che si deve imparare a fare. Niven stesso racconta di aver letto un sufficiente numero di libri di successo e ci si rende conto dopo un paio di pagine se uno sa scrivere o meno, se c’è talento e se ce la farà. Quello che dice il protagonista del libro sopra citato, è che quando si scrive una sceneggiatura, bisogna sviluppare il linguaggio degli attori, cosa che il regista non capisce. Se si è uno scrittore, si trascorre molto tempo nel soppesare le scelte. In genere ci va esperienza, è difficile quando si lavora attraverso il simbolismo. È la stessa cosa che fare l’attore. Per lo scrittore far funzionare un dialogo è difficile. “Al diavolo chi pensa che sia facile!” Si può sempre mirare a fare qualcosa come Il Padrino, si può scrivere una marea di stupidaggini, ma essere uno scrittore è molto personale. Ogni mattina si va alla propria scrivania e si lavora: si è più fortunati di chi va in ufficio, ma comunque si lavora. Se si è uno scrittore bisogna lavorare e ci si deve obbligare a farlo. Non basta l’ispirazione: ci sono dei giorni in cui se ne ha bisogno, ma se ci si mette alla scrivania tutti i giorni può darsi che le muse ti trovino.
Prima di concludere l’incontro, Niven ha raccontato il percorso fatto prima di arrivare a scrivere. “Provavo già a scrivere quando avevo 18-20 anni. Scrivevo, ci provavano, ma non avevo esperienza, non avevo fatto nulla. Devi vivere prima, elaborare la tua vita. A volta forse qualcuno dice che si nasce con questo talento, ma io non ci riesco. È frustrante, ci ho messo parecchio prima di riuscirci. A volte sento questo fuoco, ma non è sempre il momento. Per me è stato difficile inizialmente, non sapevo come fare. Ero pessimo nell’industria musicale perché non riuscivo a prendere tutto sul serio. Un parte di me pensava che avrei dovuto prendere sul serio solo l’essere uno scrittore. Avevo pensato di fare l’insegnante ma mi hanno detto che sarei stato il peggiore insegnante di sempre”. Niven infatti, prima di diventare sceneggiatore e scrittore, è stato un produttore musicale, ma non di grande successo: come ha detto lui stesso, non è stato in grado do riconoscere il talento dei Coldplay e dei Muse, ma si è giustificato dicendo che tuttora continuano a non piacergli.
John Niven è emerso dai suoi libri come uno scrittore con un forte accento scozzese, senza peli sulla lingua, cinico e spiritoso. I suoi libri sono sì divertenti, ma c’è una parte di profondità, di malinconia, in cui John mette un’attenzione e una cura pazzesca.
Camilla Brumat
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