Competizione: uno strumento di controllo di chi ha il potere sui deboli,  presente in una società schiavizzata e dominata da meccanismi di misurazione e concorrenza nei confronti del “nemico”. Questa l’immagine perversa e angosciante del concetto di competizione. Una teoria elaborata da Beatrice Bonato, presidente dell’associazione filosofica Friuli Venezia Giulia. Tale pensiero è stato costruito in anni e portato a compimento nell’opera “ Sospendere la competizione”, dove dispensa un comportamento etico in merito al degrado competitivo odierno. Alla presentazione Damiano Canton, docente universitario chiamato a dibattere sulla questione, dichiara che l’opera della Bonato è un autentico testo filosofico, poiché mette in discussione una problematica laddove nessuno la vede. Infatti, la competizione viene comunemente incoraggiata ad essere sana e onesta in campo sportivo e lavorativo. Ma la filosofa crede che il paradigma competitivo sia presente in ogni ambito della nostra vita e che sia un presupposto di un’idea arcaica antropologica: l’uomo è un essere individualista in continua competizione con i propri simili. Il meccanismo di competitività che si crea ha principio in noi stessi. Infatti, inizia con un’ autovalutazione, una stima delle proprie capacità, attività che puntano al miglioramento di sé, un continuo progredire delle nostre performance (long-life-learning) fino al punto in cui crediamo di essere pronti per la sfida contro l’altro, il nostro avversario.  E chi ci prepara a questo processo? Il mondo della scuola. Essa fornisce la migliore formazione per competere, allenandoci a diventare una serie di dati misurabili e perfettibili. Essa però, non regala felicità, e non migliora la giustizia o la dignità delle persone. Allora cosa c’è in gioco?  C’è la nostra esistenza pratica, arrivando al punto in cui  l’obiettivo di tutte le nostre azioni è la competizione, facendo dipendere da essa la definizione stessa di vita.

Chi ci ordina di competere? Colui che si trova in una posizione di potere e insegnamento rivolgendosi a chi sta sotto. Il competitivo è chi determina la gara, ma non entra in gioco, poiché questo compito spetta al subordinato.  “L’idea di competizione maschera il suo esatto osceno opposto, ovvero una volontà di controllo, una forza conservatrice che vuole mantenere le strutture economiche, di potere, culturali nello stato in cui sono”. Queste le parole forti e accusatorie sostenute dal libro, che pone il problema sulla validità etica della competizione individuale e quindi sul concetto di libertà. Dunque, il paradigma della competizione è una retorica che tende al disciplinamento e alla gestione dell’essere umano in quanto specie da controllare e indirizzare. Si giunge, a questo punto, alla proposta etica della Bonato di “Sospendere la competizione”, ovvero recuperare gli spazi della vita non competitivi, dal pubblico al professionale, fino a tutti gli aspetti della vita privata, per vivere più felici. “Una vita che non deve essere rinunciataria, ascetica, ma che è potenza, gioia, godimento e non deve per forza tradursi in attuazione continua di performance, perché questa è letteralmente tristezza”.

Dunque, la tesi elaborata, mostra una realtà inquietante, nella quale siamo diventati inconsapevolmente burattini di potenze economiche e politiche, costruiti come macchine da scontro per vincere una gara che non è la nostra.

Sara Gurizzan, Alexia Strazimiri

Liceo M.Grigoletti, Pordenone