Günter Schwaiger: il regista austriaco documenta la brutale aggressione di Marta, donna spagnola sopravvissuta per miracolo alla violenza dell’ ex marito.
Storie come questa e tante altre, passano frequentemente sotto l’ occhio dei mass media, ma rimangono incatenate nello spazio di pochi secondi dei servizi giornalistici senza che venga dato il meritato spessore a come queste donne rimangono non solo fisicamente, ma anche psicologicamente colpite da tale violenza.
Il documentario di Schwaiger si sofferma in particolare su un caso, quello di Marta, e su un’ associazione di Salisburgo, la Männerwelten, che offre aiuto agli uomini violenti per cambiare il loro comportamento. L’ anima del film, infatti, è duplice: attraverso la lingua spagnola e quella austriaca il regista vuole descrivere l’ aggressione non solo dal punto di vista delle vittime, ma anche da parte degli artefici stessi.
Come si può essere solidali con chi fa atti di violenza? Non si deve essere solidali con la violenza, ma con la persona. E’ la risposta che viene data a tutti gli aggressori che decidono di capire il movente delle loro azioni, il motivo della rabbia e il perché essa si ripercuota verso l’esterno in modo così distruttivo. La violenza, sia mentale che fisica, può essere paragonata ad una ragnatela: la sua costruzione è complicata e richiede molto tempo, ma una volta che raggiunge compimento rappresenta una trappola infallibile. Allo stesso modo la rabbia in un aggressore si forma a poco a poco, per sfociare in un atto che va contro l’umanità stessa e il rispetto verso il prossimo.
Le vittime, tuttavia, rimangono le donne. Secondo alcune statistiche, in Spagna nel 2012 sono decedute quarantanove donne, e il 95% delle aggressioni è provato che avvengono in seguito al divorzio. in ogni caso, la violenza non si esaurisce nell’atto istantaneo e esplosivo della’aggressione, ma prosegue nella mente delle vittime per sempre.
Tra leggi che non vengono rispettate (come quella che dovrebbe impedire all’aggressore di Marta di avvicinarsi a lei) e stereotipi legati alle donne vittime di violenza, donne come la protagonista del documentario vivono in costante stato di inquietudine e debolezza. Marta, alla fine del suo percorso terapeutico, ha imparato che prima di tutto ci deve essere la sicurezza di poter vivere ancora come una persona, e non solo come una vittima, perché da quella derivano il ricordo e una nuova riconnessione alla vita. Perciò Marta, ritornando a Salisburgo, prova felicità e dolore; dolore perché è una delle città che le ricordano il passato con l’ex marito, un passato che non può e non deve essere dimenticato, ma anche felicità perché rappresenta la soglia di una nuova vita.
Daniele Alessi, liceo V. Alfieri, Matteo Erli, liceo L. Ariosto
Marina Maina, liceo V.Alfieri, Margherita Dondi, L.Ariosto
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