Pordenone, 16 Settembre 2017
Quante volte abbiamo desiderato una carezza, una frase di conforto, un bacio della buonanotte, un gesto di affetto anche inaspettato, non sollecitato?Quante volte abbiamo aspettato il ritorno della mamma dal lavoro, dalla spesa, dalla frenesia che ce l’ha sottratta quando l’avremmo voluta tutta per noi?Quei piccoli gesti che bastavano per sentirci al sicuro, protetti, amati, quella rabbia e quella delusione che ci pervadevano quando tardava nel venirci a prendere dopo scuola, dopo la lezione di musica, dopo lo sport.
Non tutti hanno avuto questa fortuna. Non tutte le mamme hanno concesso ai figli la pacchia di essere tali. Ci sono figli che si sono sentiti sbagliati, colpevoli, indegni di ricevere amore. Perché i bambini hanno bisogno di appartenere a qualcuno, di un riferimento. Ma il senso di colpa svanisce nel momento in cui i figli scelgono di non essere più tali, e si accorgono che lo sbaglio non sta in loro, ma in chi li ha abbandonati; e per un periodo non perdonano, non assolvono, non dimenticano, a volte per sempre.
È questo quello che nasconde tra le righe Donatella di Pietrantonio, vincitrice del premio Campiello con L’arminuta, la ritornata. L’abbandonata, la restituita, la non riconosciuta orfana di due madri. L’autrice rivive con il suo pubblico il ricordo di un Abruzzo d’altri tempi, di una lontananza persistente della mamma, che << Riservava l’utilizzo delle mani alle sole faccende, e mai ad una carezza>>. Oggi la Di Pietrantonio si rivive da mamma definendosi ansiosa e iperaffettiva; colma il vuoto di una mancanza che l’ha segnata, lo supera, sconta la pena della madre.
Che sia da parte della mamma, del papà, di un nonno, di un amico, l’abbandono è una ferita sempre aperta. Ingiustificabile, inspiegabile, inaccettabile.
Chiara Franzin, Liceo Scientifico Grigoletti, Pordenone
Cristina Marostica, Liceo Alfieri, Torino
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