Pubblichiamo alcuni dei materiali di un’adozione speciale che riguarda Casa di reclusione Rodolfo Morandi di Saluzzo. Lo scrittore Cristiano Cavina, ha incontrato, infatti, gli studenti detenuti delle classi del Liceo artistico Soleri-Bertoni all’interno del carcere.

Prima di tutto vorrei dire che immigrarsi in un paese lontano più di dieci mila km non è facile, né una cosa bella; se andiamo a leggere qualche libro di storia, ci rendiamo conto che in passato come oggi le persone si immigravano per motivi di guerre, crisi economica e povertà.

Oggi esiste un’altra realtà, non tutti immigrati abbiamo problema di lavoro nel nostro paese, ma siamo venuti per i soldi, per avere più libertà. Una parte sono persone che hanno davvero problemi per i diritti umani, motivi politici e religiosi; vengono in Italia per dare un futuro migliore per i figli, in molti casi per salvare la propria famiglia.

Sono un immigrato, nel 2004 (a 24 anni) sono arrivato in Grecia con un contratto di lavoro, ho lavorato lì quasi tre anni; nel 2007 sono tornato in Pakistan per un mese e quando sono ritornato in Grecia, dopo due mesi, la mia mamma è morta con volontà di dio. Per me è stato un momento molto duro come tutti i figli del mondo, ero da solo, non avevo nessuno che potessi abbracciare e con cui piangere. Per questo non capendo nulla mi sono trasferito in Germania a casa di mio cugino, ho passato un po’ di tempo lavorando in Germania e Svizzera, senza avere un permesso di lavoro. Sono passati due anni, in luglio 2009 ho fatto richiesta di asilo politico. In realtà non avevo nessun problema politico nel mio paese, ma cosa potevo fare, mi hanno detto: “se non racconti qualche storia, non ti lasciano vivere in loro paese”, io non volevo tornare in mio paese, quindi ho raccontato tantissime bugie, alla fine la mia domanda è stata accettata.

Dopo due mesi i miei cugini che vivevano e lavoravano in Italia mi hanno chiamato dicendo: “Nadeem vieni in Italia, ti troviamo un lavoro, così potremo stare insieme non ti sentirai solo”. Soffrivo di solitudine e ho accettato la loro proposta; prima ho deciso di venire solo per breve periodo, rinnovare il mio passaporto e fare la domanda per il lavoro; ho detto “poi quando mi chiameranno per lavoro tornerò in Italia definitivamente”.

Il 15 settembre 2009 sono entrato in Italia per la prima volta al confine tra Como Chiasso, dopo quasi nove giorni il 25 SETTEMBRE 2009 ero a casa di mio cugino Ali Basharat in provincia di Milano, per la precisione a Pioltello. Quel giorno lui riceve una telefonata da un cugino, Shahid, una telefonata un po’ animata con insulti. Dopo la telefonata mio cugino mi riferisce che era già la terza volta che Shahid lo insultava al telefono, così mi disse di andare a casa, mentre lui andava a chiarire la situazione; io dissi che restavo al call-center perché volevo telefonare in Pakistan. La casa di Shahid era a circa 200 metri di distanza, Ali ha chiamato  suo fratello Anis e sono andati da lui per chiarire la situazione. Io pensavo che parleranno tra di loro come sempre, ma questa volta è stato differente. Io ero indietro massimo 20 metri, ho visto i miei cugini insultarsi. La situazione è degenerata e si sono azzuffati e all’improvviso ho visto Anis che ha accoltellato tre di loro. Quando ho notato del sangue mi sono precipitato a dividerli, ma è stato molto difficile, erano feriti ma volevano ancora litigare. Ho fatto quello che potevo, ho chiamato l’ambulanza con difficoltà di comunicare per il mio scarso apprendimento a parlare la lingua italiana. Nel frattempo che veniva l’ambulanza ho messo un asciugamano sulla ferita di un mio cugino e la mia mano sull’ altro cugino, entrambi feriti, per fermare il sangue. I miei vestiti si sono sporcati di sangue e un amico mi ha suggerito di andare via siccome non avevo il permesso di soggiorno ed ero sporco di sangue. Premetto che in quel momento non capivo la lingua italiana e diciamo che ero sottosciok . Quindi mi sono recato a casa per cambiarmi gli indumenti, ma mi hanno fermato i carabinieri puntandomi le pistole e, ordinando di non muovermi, mi hanno arrestato.

Ripensandoci è stata una scena sconvolgente che non vorrei augurare a nessuno. Successivamente mi hanno portato nel loro ufficio per interrogarmi. Ho dato la mia versione dei fatti, dicendo che non ero coinvolto di questa situazione, potevano chiedere ai miei cugini. Purtroppo mi riferirono, con mia sorpresa, che i miei cugini mi avevano denunciato e non nascondo che ho pianto molto, “perché si erano comportati in questa maniera siccome loro sapevano che io ero innocente ?” Li ho aiutati e loro mi hanno ringraziato in questa maniera, ma sapevano che ero innocente siccome io non ho dato una mano a picchiarli, ma solo a dividere per evitare il peggio.

Così sono finito in carcere a San Vittore. I primi giorni ero tanto disperso che sembravo un cadavere, è molto brutto quando ti accusano di qualcosa che non hai fatto. Mi sentivo solo e non potevo parlare con nessuno, prima di tutto perché non conoscevo la lingua e in Italia non avevo nessuno che mi poteva aiutare, avevo solo i miei cugini i quali mi hanno denunciato per una cosa che non avevo fatto e non volevo parlare con loro. Il primo anno di detenzione alcuni detenuti mi chiedevano perché io ero in carcere, ma per orgoglio oppure vergogna non rispondevo, siccome non potevo dire che la mia famiglia mi ha mandato in carcere, era un gran dolore. In ottobre ha cominciato a fare freddo e io avevo solo una maglietta e un paio di pantaloni, i miei vestiti erano in casa di mio cugino e nessuno me li portava; quando uscivo all’aria per camminare sentivo freddo, così stavo in cella mentre altri detenuti andavano all’aria per camminare. Per orgoglio non chiedevo a nessuno, forse se lo chiedevo qualcuno mi dava qualche indumento per coprirmi, ma pensavo che era un mio problema e, per come sono fatto, non era corretto chiedere aiuto e se per caso qualcuno mi offre qualcosa non accetto niente, perché é la mia cultura ed educazione che sono fatto in questo modo. Proprio in quei giorni un capo posto di nome Franco ha notato che io non andavo fuori nelle ore di aria perché non avevo indumenti adatti e, a mia insaputa, ha parlato con un assistente volontario, così mi hanno consegnato alcuni indumenti: con questi ho passato tutto l’inverno del 2009 e non posso dimenticare questo capo posto, per quello che ha fatto per me, lui è rimasto nel mio cuore per il suo gesto: anche se era duro con gli altri detenuti, che purtroppo fanno casino e solo in questo modo poteva gestire la situazione all’interno del carcere. Ho vissuto due anni a San Vittore senza problemi verso le guardie penitenziarie, penso che loro non hanno un animo duro, ma purtroppo devono comportarsi in questo modo per gestire la situazione dei detenuti.La migliore esperienza che ho avuto è stato iniziare a comprendere e scrivere la lingua italiana, successivamente ho iniziato a parlare con i detenuti e, cosi facendo, mi passava più veloce il tempo.

Nell’aprile del 2010 ho ricevuto la mia prima lettera da quando ero in carcere ed ero molto emozionato, era di mio zio e arrivava dal Pakistan. Mio zio mi ha cresciuto dopo la morte di mio papà, allora avevo solo due anni e per questo motivo lo chiamo papà. Mi ha scritto che mi vuole tanto bene e scrive: “figlio noi sappiamo che tu non c’entri niente, ho parlato con tuo cugino Shahid e mi ha riferito che è stato un grande errore denunciare Nadeem, ma faranno di tutto”. Successivamente mio cugino Shahid voleva fare un colloquio con me, ma io non ho voluto e ho rifiutato, per il motivo che se mi trovavo in carcere la colpa è solo sua, ma non è questo l’unico motivo.

Nel 2006 la mia zia, la mamma dei miei cugini che è la cognata di mia mamma, le aveva proposto che la sua figlia doveva sposarsi con me, come usa in Pakistan. Quando mia mamma mi aveva riferito questa notizia era stata molto comprensiva di questo mio rifiuto, ma la mia zia la prese molto male, da quel giorno ci sono stati degli attriti tra la mia famiglia e la loro. Ho cercato di stare vicino ai miei cugini, ma avevano ancora nel cuore il rifiuto di sposare la loro sorella. Io a loro non volevo fare del male, ma come potevo sposare una ragazza che non conoscevo e non ho mai avuto l’occasione di parlare anche se siamo cugini?

Se devo essere sincero, mandandomi in carcere mi hanno fatto un grosso favore, perché sono sicuro che mi avrebbero fatto del male, in Pakistan succedono spesso queste cose per motivi di fare dei matrimoni combinati tra famiglie.

Ripenso alle parole di mia sorella che mi avvertiva di stare lontano dai miei cugini, ma io non la ascoltavo, le dicevo “tu non sai niente ed hai sempre paura” e cambiavo discorso. Lei mi rispondeva “fratellino, prima o poi capirai che i nostri parenti sono nostri nemici” . Oramai è andata cosi, ma ora so che devo vivere la mia vita senza parenti e mi piace così, Giuro che oggi non sento la mancanza di nessuno dei miei parenti.

Dopo due anni a San Vittore sono stato trasferito al carcere di Saluzzo, ho passato altri due anni frequentando la scuola in carcere e ringrazio dio che mi ha fatto conoscere delle brave persone come la mia prof Scotta (se oggi ho la possibilità di frequentare la scuola è grazie a lei che per me è come una sorella o madre ) e la prof Castellano, la prof Marisa Russotti,  il prof Burzio e altri miei professori che sono stati con me come una famiglia.

A settembre 2013 sono uscito dal carcere, adesso vivo a Saluzzo, frequento la scuola superiore liceo artistico “Soleri-Bertoni” ,vorrei imparare ancora tante cose, devo migliorare la lingua italiana e vorrei sistemarmi in Saluzzo per sempre, però non si sa ancora se potrò avere un permesso di soggiorno o no, ma ho lasciato tutto nelle mani di dio e spero che mi aiuterà. Fratello Baciarelli, un assistente volontario con cui sto leggendo la bibbia, dice che non devo avere paura, devo avere fiducia in dio.

Alla fine vorrei dire solo una cosa, anche se sono stato in carcere da innocente, non ho odio per questo paese, né per la giustizia italiana. Sono stato in carcere non per colpa della giustizia, ma per colpa dei miei parenti, ho imparato tanto da questo paese e ho tantissimo rispetto per questo paese, non mi importa di quelli che sono razzisti, io non vedo il loro razzismo, ma vedo l’affetto che ho avuto da parte dei miei professori, che sono italiani.

Non so se rimarrò in Italia o no, ma il rispetto che ho per questo paese rimarrà sempre nel mio cuore.

 

Nadeem H. Muhammad Nadeem Hussain – Pakistan