Incontrare Helena Janeczek e ascoltarla mentre racconta delle sue opere è come avere accesso al retroscena, entrare nell’intimità del suo lavoro, osservarla in un momento privato di riflessione con se stessa.
La scrittura per lei è questo: un modo, non l’unico forse ma sicuramente il più istintivo, di avvicinarsi alla realtà e di entrare in relazione con essa, di districarne i nodi. Vive la quotidianità e si lascia affascinare dagli eventi e dalle persone che la affollano, i quali finiscono per ritrovarsi sviscerati nei suoi libri, indagati e scandagliati. “La realtà è già abbastanza straordinaria, non c’è bisogno di inventare” dice. I suoi sono lontani dall’essere romanzi d’invenzione, di fiction; al contrario, sono la concretizzazione di un’accurata e rispettosa documentazione d’archivio, la narrazione di una realtà che resta aderente al piano della fattualità, fedele a un’effettiva versione degli eventi e delle persone.
L’immaginazione, però, non resta esclusa dal suo lavoro, ma entra a farne parte come strumento conoscitivo, utile per donare la dimensione del possibile a una realtà che in sè contiene tutte le potenzialità dell’avvenire, ma che di fatto può realizzarsi solo univocamente. Il risultato ottenuto è la creazione di un ecosistema in cui persone, eventi, ideologie, possibilità, vite appartenuti al mondo del reale convivono e si relazionano con la presenza di Helena Janeczek, che li scruta e li esamina, li anima e procura loro, nelle pagine dei suoi libri, infinite possibilità di evolversi oltre il tempo finito nel quale si sono già consumati. Le persone di cui sceglie di raccontare la storia riescono a trovare una nuova dimensione vitale, lontana dall’immobilismo e dall’imponenza del monumento di un passato finito, e lo fanno tramite il personaggio in cui Helena Janeczek ha permesso che si specchiassero.
È l’autrice stessa a svelarci quanto sia profonda e, inizialmente, irrazionale la spontanea relazione che intrattiene con la materia vivente che occupa le sue opere; di come questa relazione cresca e si evolva in un razionale e controllato equilibrio tra la sua presenza di tessitrice di un tessuto narrativo immaginifico e la sua assenza, che permette a ciò che esiste di continuare ad esistere autonomamente anche al di fuori di lei. Questa delicata operazione la pone davanti alla questione di dover trattare con memorie ed identità che non le appartengono in prima persona e per compierla rispettosamente si serve e si fida della sua sensibilità, la quale le consiglia il confine entro il quale intervenire.
Il calibrato, ma allo stesso tempo libero e istintivo rapporto tra la realtà con i suoi fatti ed Helena Janeczek, che con la sua immaginazione costantemente stabilisce legami e apre tra gli eventi gli spiragli per nuove e infinite possibilità di azione, è certamente uno degli aspetti più affascinanti del suo lavoro, che altro non è che un’intima riflessione sulla realtà.
Anna Pedrolli
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