Jacques Mourad, monaco siriano del convento di Mar Elian, viene rapito il 25 maggio 2015 dagli jihadisti e tenuto prigioniero per 4 mesi. Sono una decina, indossano maschere e portano armi. Rapiscono Mourad e un giovane volontario del monastero, mettendoli in un’auto per portarli in pieno deserto, dove li lasciano – incatenati e bendati – per quattro giorni. Poi, li trasferiscono in una prigione vicino ad al-Raqqua, li chiudono in un bagno e ce li lasciano per circa tre mesi, durante i quali i due reclusi vengono torturati fisicamente e soprattutto psicologicamente. Sono proprio le violenze morali subite quelle che lasciano più il segno sul monaco, il quale ci racconta, ad esempio, della minaccia di trovarsi con la testa tagliata se non si fosse convertito all’Islam, cosa che lui non fece mai. Ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è come un martire che Jacques si oppone ai suoi rapitori: al contrario, usa sempre prudenza ed evita il diretto scontro teologico. Dopo essere stato liberato, nel settembre dello stesso anno, consiglia infatti anche ai padri di famiglia di agire con cautela, fingendo di aderire alla religione musulmana, anche se, sottolinea l’ospite, lo fa solo perché questi hanno mogli e figli, mentre invece non esorta allo stesso comportamento i giovani, perché riconosce l’importanza di lottare. E’ interessante notare come Mourad non provi odio né risentimento verso i suoi carcerieri, nonostante i soprusi di quei quattro mesi, e viene spontaneo chiedergli come sia possibile questo. Risponde che per tutto il periodo della prigionia è stato invaso da un senso di pace, segno che Maria era con lui; perciò, non ha avuto paura di morire e allo stesso tempo si è accorto di non essere lui la vera vittima, ma che lo erano proprio quelli che lo avevano rapito, che agivano per ordine dei loro capi e non avevano la libertà di pensare e comportarsi come volevano. Lui, invece, ha mantenuto per tutto il tempo e a dispetto dei maltrattamenti e delle difficili condizioni di sopravvivenza, la libertà più grande di tutte, la sua libertà interiore.

Silvia Bracco, Liceo Alfieri