Uscirà a maggio L’alterità che ci abita, libro che raccoglie una serie d’interventi per i dieci anni del Concorso Letteraio Nazionale Lingua Madre. 

INTERVISTA A PAOLA MARCHI 

Social media editor Concorso Lingua Madre e mediatrice familiare

Docente del Gruppo di Studio del Concorso Lingua Madre

Autrice del saggio

NEL GREMBO DELLA SCRITTURA, NEL MONDO 

in “L’alteritá che ci abita – donne migranti e percorsi di cambiamento – Dieci anni del Concorso letterario nazionale Lingua Madre”, a cura di Daniela Finocchi – Edizioni SEB27 http://www.seb27.it/content/alterità-che-ci-abita

1) Il lavoro di analisi dei testi convogliato poi nel volume L’alteritá che ci abita – Donne migranti e percorsi di cambiamento ha impegnato del Gruppo di Studio del Concorso Lingua Madre per oltre due anni. Come è stata per lei questa esperienza e cosa ha significato?

Collaboro da cinque anni con il Concorso Lingua Madre e sono la più giovane del gruppo, ma questo non ha influito sulla considerazione e l’attenzione che le altre hanno dato alle mie osservazioni e ai miei punti di vista, anzi le riflessioni che sono nate, gli spunti e il grande lavorio attorno ai temi della migrazione e del femminismo si sono arricchiti e hanno dato dei frutti meravigliosi proprio grazie a questo confronto tra L'alterità che ci abitagenerazioni e grazie alla diversità dei percorsi e degli interessi di ognuna. Inoltre, mi sono sentita accolta e ascoltata in ogni momento, a conferma che la modalità che circolava fosse genealogica e non gerarchica, relazionale e non accademica. Questa esperienza mi ha dato la possibilità di sperimentare quei gruppi di autocoscienza degli anni ’70 che non ho potuto vivere e frequentare, è stata un’incredibile opportunità per dire e dirsi in un contesto vivo e sempre in movimento. Con Aida, Pinuccia, Luisa, le due Daniela (Fargione e Finocchi), Valentina e Betina ci siamo prese e condotte per mano e, in circolo, abbiamo esplorato mondi e culture al femminile.

2) Voi parlate di “lettura situata dei racconti”, cosa si intende e in cosa si differenzia da una normale analisi dei testi?

Significa vivere corpo a corpo con l’immaginario dell’altra, significa riconoscere e riconoscersi attraverso il gioco di rispecchiamenti che la scrittura/lettura crea e favorisce, cogliendo dall’esperienza dell’altra qualcosa di te. Significa non limitarsi a indagare aspetti tecnici del testo, o letterari, o a cogliere dati e percentuali in prospettiva di un approccio sociologico o morale, ma lasciarsi andare a un dialogo con l’autrice e con il suo vissuto, con la consapevolezza che da quel dialogo in qualche modo ne uscirai trasformata.

3) Il suo saggio quale aspetto approfondisce e perché?

Nel mio intervento faccio spesso riferimento al riconoscimento reciproco: gli anni passati a diretto contatto con tante storie e donne diverse che hanno concesso una parte di sé e del loro bagaglio, mi hanno permesso di tracciare un filo rosso con la mia esperienza e le mie emozioni di “migrante”, ampliando così un tracciato comune, ma sempre differente, che ha origine da mia madre e via via si arricchisce degli altri legami al femminile che ho intessuto nella vita.

4) A lei è mai capitato di sentirsi “straniera” o di identificarsi con qualcuna delle protagoniste dei racconti che ha letto? Può spiegare in che modo e perché?

Credo che non sia necessario parlare un’altra lingua o avere un altro colore di pelle per sentirsi “straniera”. Fausta Cialente, scrittrice che ho avuto l’immenso piacere di scoprire grazie al mio lavoro di tesi sulla scrittura femminile e le grafie del sé (e grazie alla guida di Luisa Ricaldone, mia tutor di tesi), si definiva “straniera dappertutto”.  Anch’io mi sono spesso sentita così, ma le cose sono cambiate perché di questa condizione ne ho fatto un mio punto di forza, oggi la ritengo una prospettiva privilegiata. Anche nei racconti delle edizioni più recenti del Concorso sembra che molte autrici abbiamo raggiunto una sorta di consapevolezza sulle grandissime risorse e le possibilità della non-appartenzenza, della non-definizione a tutti i costi.

Devo molto alle tante donne migranti, in cammino come me, che si sono raccontate in questi anni. Perché si sono concesse attraverso la scrittura, aprendo spazi di realtà e significato. Ed è con il desiderio di ritrovare in ogni storia un pezzetto di me e della mia storia che le ho lette e a mia volta riconosciute. La magia della scrittura si è compiuta davvero e con questa la pratica politica del continuum tra donne.