L’arminuta, la ritornata, essa: questi sono i nomi della protagonista dell’ultimo romanzo di Donatella di Pietrantonio – “L’arminuta” appunto – presentato oggi pomeriggio nell’Oratorio S.Filippo Neri. Il libro, vincitore del Premio Campiello 2017, narra la storia di una ragazza di tredici anni che, nell’Abruzzo degli anni ’70, viene di punto in bianco restituita alla sua famiglia biologica. “Come si può vivere e sopravvivere ad una restituzione, o meglio, ad un secondo abbandono?” La reazione comune dei bambini, spiega Donatella, è cercare di preservare l’immagine ideale dei genitori addossandosi la colpa, ritenendosi indegni di amore.

“Essa – come è chiamata l’arminuta dai suoi genitori biologici- è stata data e poi ripresa”: il lessico che usa Donatella, è “duro”, concreto, certo non adatto alle persone. Per questo l’autrice usa molto il dialetto abruzzese, un dialetto in cui la parola amore non esiste; come non esiste, nella storia della ritornata, l’affettività. “Sei arrivata”, questa è l’accoglienza riservatale dai genitori. A questo punto viene forse da chiedersi quale sia la maternità vera, quella biologica o quella affettiva? Alcuni dei bambini che in passato venivano donati a coppie sterili, afferma infatti la scrittrice, avevano una vita migliore, non solo economicamente.

Tema centrale del libro, oltre alla maternità, è anche e soprattutto la sorellanza. L’arminuta trova nella sorella Adriana la compagna perfetta per colmare quei vuoti lasciati loro dagli adulti, anche se non tutti si possono colmare. E infatti questo passato “ingombrante” lascia segni profondi nell’arminuta adulta, che narra la storia: un romanzo di formazione che, come afferma Ernesto Ferrero, conduttore dell’incontro, dimostra come la vera letteratura sia un insostituibile strumento conoscitivo.

Gaia Olocco e Matteo Carnevale, Liceo Alfieri