“Otium”, “Umanesimo”, “sentimentale”, “laudare”, “rettorica”. Questi sono alcuni dei termini che costituiscono L’italiano in 100 parole di Gian Luigi Beccaria, nato dall’idea di raccogliere quelle parole capaci di resistere alla “forbice del tempo” e rimanere nella lingua. Giorgio Ficara, che conduce l’incontro nella Sala Azzurra con Beccaria e Luca Mastrantonio, precisa subito che l’italiano è una lingua che sta perdendo complessità sintattica e lessicale avvicinandosi sempre più a “un’inglese da aeroporto tradotto”.

Ma cos’è l’italiano?
Certo non qualcosa dalla forma astratta o stabile, dice Beccaria, ma piuttosto ciò che portiamo con noi e che, “come dire”, siamo noi; qualcosa che da Dante ad oggi è in grado di tenere insieme le persone più di uno Stato. Per esso, il linguaggio giovanile è spesso una fonte d’innovazione e non un mostro da combattere. E neppure l’altro grande nemico dei puristi, l’inglese, costituisce una minaccia di per sé: il rischio è che, per un “ok” di più, vada perduta la grande varietà di sinonimi che fa dell’italiano una lingua versatile.

Luca Mastrantonio è molto più ironico e pessimista nel presentare il suo Pazzesco! dove passa in rassegna 69 termini di un “linguaggio fangoso” che non significa e non inventa più. Questa lingua ripugnante, che svuota parole come “adorare”, “geniale” e “assolutamente” del loro senso, tenta di ricondurre a una sola parola sia un concetto che il suo opposto, quasi come il bipensiero di Orwell; così può accadere che una formula come “stai sereno” suoni ora quasi come una minaccia.
Per difendersi da questa malattia e non-senso, è necessario sviluppare anticorpi, ma anche capire che, forse, l’unico modo per salvarsi è non salvarsi e accettare che parole come “sticazzi” entrino a far parte della lingua. Senza però perdere il sentimento del contrario e continuando a ridere e scherzare di termini come “milf” e “bimbominkia”.

Elisa Bellantoni
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