Sono alla ricerca di qualcosa tra queste pagine ingiallite: un’immagine, una frase, un’idea che mi coinvolgano e mi suggeriscano quale potrebbe essere il modo per poter far parte del gruppo. E’ caro questo libro a mia madre; testimone della giovinezza del nonno, l’unico libro di scuola che conservava ed è diventato eredità affettiva di famiglia.

Sfoglio pagine che parlano di religione, di obbedienza, di disciplina, di conquiste militari. Poche immagini; file ordinate di scolari, fiocche bianche.

Il nonno mi chiama; è seduto sotto il noce, la sua cagnolina gli dorme in braccio, nel viso scavato dalle rughe brillano i suoi occhi allegri.

“Siediti qui”, mi dice indicando una seggiola accanto alla sua sdraia di plastica consumata,“fammi compagnia!”.

Gli prendo la mano e indicando le sue dita storte: “Mi racconti?”

Conosco a memoria ciò che mi dirà.

“E’ successo mentre raccoglievo le patate nel campo di lavoro. Se riuscivo a nasconderne un paio sarei riuscito a portarne una al mio amico Antonio, che era in branda malato. All’improvviso mi sono trovato la mano sanguinante, a brandelli. Avevo capito dalla durezza che non era una patata, ma non avevo fatto in tempo a lanciare abbastanza lontano la granata. Qualche scheggia ed ecco qua”.

Deglutisce e guarda lontano.

“Dove erano, nonno, i campi di lavoro?”.

Gli accarezzo i capelli setosi, che non sono mai diventati del tutto bianchi e mi guarda.

“Ci avevano presi, avevamo fatto molte ore in treno, avevamo passato il confine, verso l’est, la Jugoslavia.

Quella gente era proprio dura.

Anche fra loro non si volevano bene.

Molti che erano con me sono andati più lontano; io sono stato fortunato. Solo alcuni sono stati fatti scendere prima, come me. Lì si lavorava duro, ma almeno sono tornato”.

Le frasi sono spezzettate, gli occhi si velano.

“Dai, nonno mi racconti di quando andavi in moto?”.

Un colpo di tosse e le labbra abbozzano un sorriso.

“Quelli sì erano bei tempi, ma son venuti prima. Facevamo le sfilate, sempre col cappello da bersagliere in bella mostra, ma poi è venuta la guerra e tutti siamo stati chiamati. Qualcuno si è nascosto nei campi, ma se lo prendevano…”.

Chiude gli occhi e continua.

“Quando sono arrivati i tedeschi anche qui in paese è successo il finimondo. Quelli del Ronego¹ avevano nascosto un figlio, partigiano, nella stalla; i tedeschi han messo tutti in fila per farsi dire dov’era, nessuno parlava. Allora hanno sparato”.

Riapre gli occhi e cerca i miei; in tono grave continua.

“Per uno dei loro ammazzato, ne facevano fuori dieci dei nostri”.

La cagnolina salta a terra e corre incontro alla nonna che si avvicina strascicando le ciabatte.

“Dai venite, che è pronto!”.

Si sofferma a controllare se le lenzuola stese sul filo sono asciutte, pronta a raccoglierle prima che qualche mosca si appoggi sopra.

“Eh sì, mangiare. Adesso che non ho più fame c’è di tutto!”, sospira il nonno.

“Quando avevo dodici anni come te, allora sì era fame. E anche dopo, durante la guerra, e anche dopo, alla fine della guerra. Quando ero piccolo andavo a raccogliere le castagne sul monte di Lovertin² con la mia nonna, un sacco, e ci dovevano bastare tutto l’inverno. E quanta polenta! E che buone le croste, tutto si mangiava”.

Prende il bastone accanto alla sdraia e si alza con fatica.

“Queste ginocchia non mi reggono più”.

Dà un’occhiata alle galline che razzolano indifferenti nel pollaio, una ai pomodori dell’orto, di cui va orgoglioso e che ancora cura nonostante gli acciacchi.

“Andiamo, altrimenti la nonna si arrabbia”.

Allunga la mano contorta e stringe forte la mia. Camminiamo insieme nel cortile, passo dopo passo.

Chiudo il libro e sfuma l’immagine del mio caro nonno che da pochi anni non è più lì sulla sdraio ad aspettarmi, a raccontare i giorni e gli anni. Eppure il suo sorriso è con me; sento forte dentro la sua voce.

Sì, ora mi metto a scrivere.

Note:
¹Ronego: canale d’acqua che attraversa Pojana Maggiore, il paese dove abitava il nonno.

²Lovertin: abbreviazione di Lovertino, paese ai piedi dei Colli Euganei.

Francesco Rossetto 4E

Antologia della Memoria realizzata dai ragazzi del Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone