Liliana Treves è nata ad Alessandria in una famiglia di piccola borghesia, quando scoppia la guerra lei e i suoi genitori sono costretti a trasferirsi a Torino in cerca di un nuovo lavoro per mantenersi. Liliana riesce fortunatamente a frequentare la scuola ebraica, mentre i suoi fratelli maggiori iniziano a lavorare. A causa del trattamento riservato ai genitori cacciati brutalmente dal loro lavoro, i figli aderirono al movimento antifascista. Non avevano altra scelta. L’ultima volta che li vide fu nell’ottobre del ’43; dopo esser passati in un casotto per annunciare ai famigliari la loro adesione al movimento partigiano, fuggirono a Torino per procurarsi le carte d’identità. Vennero attirati in un bar, circondati dalla Gestapo, condotti in via Asti e torturati. Quando furono trascinati alle Nuove di Torino, Liliana e il resto della famiglia ricevettero la notizia. Il 13 Gennaio del 1944 furono inviati in Germania, dove trovarono la morte. “Partirono troppo presto e vennero liberati troppo tardi” ci racconta Liliana, ” ad Auschwitz, i cancelli si aprirono 3 mesi prima”. Lei e il marito cercarono notizie dei fratelli negli archivi americani, ma gli fu riferito che erano morti per una debolezza cardiaca: ritennero questa spiegazione vaga e poco probabile, anche per il fatto che gli archivi andarono misteriosamente distrutti poco tempo dopo. Infine riuscì a scoprire che un fratello era caduto in un campo, per un colpo di fucile.” Una morte orrenda, perché dopo quasi un anno e mezzo di vita da bestia, fu semplicemente fucilato”.
Vittoria Parola, Redazione Alfieri
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