Osservo il cielo. Per fortuna non piove. Quando piove uno dei corridoi che percorriamo noi docenti per raggiungere le aule del carcere è puntualmente allagato. A bacinelle con mozziconi di sigarette e strofinacci piazzati qua e là sul pavimento il compito di raccogliere l’acqua che arriva dal soffitto. Ma oggi il tempo tiene.

Io e la mia collega Raffaella entriamo in carcere con Vanessa Roghi. La sua semplicità contrasta con quello che è: storica, docente universitaria, scrittrice…

Arriviamo nel settore scuola. L’aula è angusta, i detenuti tanti. Sono felici di vederci e ansiosi di conoscere Vanessa.

Vanessa si siede sulla cattedra e inizia a raccontare: di Grosseto, la “piccola città” in cui è cresciuta, di lei, allevata da nonna Isolina che ha fatto solo la seconda elementare, ma che è una donna “con le palle”, del nonno, che da semplice raccoglitore di torba diventa impresario edile e di suo padre Mauro, che negli anni ’80 diventa eroinomane.

E in questa storia personale trova posto “la Storia”, dal secondo dopoguerra in avanti: il piano Marshall, la ricostruzione, il boom economico, l’arrivo del benessere e con esso l’arrivo in Italia e in Europa della droga.

Vanessa comincia a narrare e si commuove: ecco, è entrata subito in empatia con i detenuti. Loro sono attentissimi, rapiti dalle sue parole, dalla sua storia privata che è, in parte, una storia “comune” alla loro: carcere per chi spaccia, carcere per una vita violenta.

Paola Savio, CPIA 1 ASTI, docente referente del progetto


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