La guerra è sempre stata una faccenda da uomini: guidare le truppe, combattere al fronte e razionare le scorte. Fiori di roccia, finalmente, la racconta attraverso gli occhi delle donne. Ilaria Tuti ci porta sulle cime delle Dolomiti, accompagnandoci lungo i sentieri percorsi dalle portatrici carniche, che con incrollabile coraggio si sono messe in gioco rischiando le loro stesse vite. Si sono rese indispensabili ai battaglioni nelle trincee, custodi preziose di provviste e speranza, salvifiche nel trasportare i feriti a valle. Grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, alle vecchie lettere e interviste, la Tuti è riuscita a costruire un romanzo di incredibile finezza e realismo, facendoci rivivere gli stati d’animo, ma soprattutto la fatica di queste donne stoiche ma troppo spesso ingiustamente dimenticate. Confrontandosi con uomini che dovrebbero farci da esempio, Agata Primus, protagonista verosimile, ci tende la mano e ci accompagna attraverso una schiera di persone realmente esistite, in un mondo ostile alle donne di qualsiasi estrazione sociale. Per farsi riconoscere, l’unico modo era mettersi a rischio, come ci ricorda Ilaria Tuti con il personaggio di Viola, amica di Agata, che portava munizioni più pesanti del normale per impressionare l’artigliere di cui si era innamorata. In “Fiori di roccia” viene dato rilievo anche ai genitori della protagonista: la madre morta, il cui unico lascito fu l’amore per la letteratura, unica via per la libertà, e il padre infermo, a cui Agata della guerra raccontava solo una mezza verità costruita sulle gesta eroiche di combattenti mai esistiti, tralasciando la sofferenza del fronte, il fango mescolato al sangue, la sporcizia e la pazzia. Perché in fondo, anche lei preferisce cullarsi nell’illusione e dimenticare i fischi dei proiettili accanto alle orecchie. Tramite questo frammento dell’intera opera, Ilaria Tuti cerca di renderci consapevoli su come le donne, da sempre, siano sempre state destinate alla cura dei feriti e al ruolo di infermiere. Le portatrici invece, presero in mano le redini della loro vita, aiutando al fronte, seppellendo i soldati nei cimiteri e aiutando le famiglie dei feriti, curando però allo stesso tempo le questioni domestiche ed economiche a tarda sera. “Fiori di roccia”, incastonato nel maestoso ambiente delle Dolomiti, è un inno all’intraprendenza e alle nuove libertà conquistate nel ventesimo secolo.
Eva Laura Giacomello, Giulia Zanetti, Liceo Grigoletti, Pordenone
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